«La vicenda Wind-Tre si è conclusa il 6 luglio con l’esternalizzazione ufficiale dei lavoratori. Una vicenda che lascia grande rammarico e una forte preoccupazione – esordisce Marianna Stara, dipendente e rappresentante della Uil-Com – un resoconto finale non positivo sull’andamento della vicenda che ha coinvolto circa 900 lavoratori e tenuto campo negli ultimi due mesi su tutti i media”.
«La posizione dei sindacati resta contraria a qualunque ricorso allo strumento delle esternalizzazioni, soprattutto in un contesto economico che non lo giustifica minimamente. Tant’è che lo abbiamo fatto inserire nero su bianco anche nel documento siglato tra Organizzazioni e Azienda, dove l’atto viene bollato fino all’ultimo come incondivisibile per merito e metodo – spiega la rappresentante dei lavoratori della Uilcom. L’accordo di cessione è stato peraltro siglato solo dopo lo scadere delle procedure di legge. Un aspetto non secondario, che vuole rimarcare la distanza dei sindacati da questa scelta che danneggia a nostro avviso l’azienda stessa, i dipendenti e noi temiamo anche la clientela. In un contesto di competizione sfrenata infatti molte aziende lungimiranti stanno facendo un percorso opposto, internalizzando attività e puntando all’eccellenza dei servizi. Per il nascente colosso delle Telecomunicazioni con ricavi di oltre sei miliardi annui, questa decisione per noi resterà eternamente inspiegabile. E nonostante oggi il nostro orizzonte temporale si sia ridotto forse a sette anni, come lavoratori siamo pronti a rimboccarci le maniche per dimostrare a qualunque azienda quanto valga la nostra professionalità pluridecennale».
LE BATTAGLIE. «Ma il Sindacato deve comunque fare il suo lavoro fino in fondo, anche nei contesti impossibili come questo» aggiungono Federica Marchese e Alessandra Melis, sempre rappresentati dei lavoratori e delle lavoratrici ex Wind-3. Per questo in una lunga e difficile trattativa durata quasi quaranta ore, abbiamo messo alcuni paletti quanto meno per salvaguardare dei diritti acquisiti in Wind Tre, che rischiavano di essere totalmente spazzati via a causa della cessione. Parliamo di argomenti importanti come, il mantenimento di una parte di Welfare, dei trattamenti economici (buoni pasto, quota di premio di risultato maturato nei sei mesi scorsi), e una serie di garanzie che mitigheranno le eventuali modifiche della organizzazione del lavoro (turnistiche, ferie programmate, etc). Ai lavoratori, a cui va tutto il nostro ringraziamento, resta il merito di aver messo in campo tutte le iniziative possibili. » «Il nostro ruolo è quello di garantire il massimo delle tutele possibili ai lavoratori, soprattutto quando le leggi dello Stato, la politica, e forse una maggiore compattezza, avrebbero dovuto e potuto scrivere un finale diverso – conclude Marianna Stara – lanciando un monito per il futuro: «Questa vicenda costituisce la conferma che un intero settore che impiega circa duecentomila lavoratori di cui diecimila solo in Sardegna, rischia il punto di non ritorno. Questi numeri dovrebbero far balzare sulla sedia le massime istituzioni politiche, le stesse che, in qualche modo, hanno avvallato la fusione, e che non hanno saputo o voluto fare proprie le nostre proposte di soluzioni alternative alla cessione di ramo d’azienda. Di fronte a tutto questo è necessario a questo punto intervenire proprio sulle regole del gioco: in un Paese civile non si può tollerare che i lavoratori possano essere ceduti come un qualunque bene aziendale. Il lavoro è un’emergenza nazionale e un patrimonio sociale che va tutelato a qualunque costo e prima di ogni altro interesse economico».













