La “scatoletta” bianca è poggiata accanto alla cassa: i tasti della prima sono belli puliti, quelli della seconda invece hanno qualche strato di polvere. Come mai? Semplice: la “scatoletta” è il pos e, ogni giorno, Simone Usai la utilizza per farsi pagare un paio di scarpe risuolate o incollate. Trentasei anni, calzolaio, porta avanti l’attività paterna in piazza San Bartolomeo a Cagliari: nonostante la crisi è riuscito ad assumere un aiutante ma a fine mese, i conti, non tornano proprio a causa dei tanti pagamenti effettuati col bancomat: “Per comodità o per moda, visto che il Governo spinge in quella direzione dicendo che così si combatte l’evasione, invece la maggior parte di chi evade non lo fa certo con i contanti. Qui vogliono pagare con la carta anche una soletta da tre euro”, afferma Usai, “noi offriamo questa possibilità ma non abbiamo nessun incentivo, anzi, paghiamo la transazione come quando si preleva ad uno sportello bancario”. Il conto è presto fatto: “Su ogni commissione la banca trattiene il due per cento, facendo una media di dieci euro vuol dire che devo rinunciare a cento euro al mese. In un anno fanno almeno 1200 euro, soldi che non posso utilizzare per me, per la mia famiglia o per pagare un premio di produzione al mio aiutante”. E quei denari, poi, chissà dove finiscono: “Non restano nel circuito locale”, taglia corto il calzolaio.
“La colpa non è dei clienti, ho cercato di spiegare loro che è meglio pagare con i contanti”, però l’esito non è stato di quelli sperati. “La colpa è del governo e delle banche, ecco perchè poi le aziende piccole spariscono. Oltre al due per cento devo anche pagare tasse che sfiorano il settanta per cento”, osserva il trentaseienne, “è chiaro che così è davvero tanto”.








