Non è più un borgo di pescatori il quartiere di Sant’Elia, uno dei luoghi più splendidi della città, come amenità di paesaggio, come respiro del cielo e del mare. Le varie ‘ripuliture’, i numerosi tentativi di migliorarne l’assetto, lo hanno snaturato, tanto da farlo apparire quasi come un centro abitato da fantasmi. Il vecchio seicentesco Lazzaretto, sommariamente trasformato in un centro culturale nel 2000, proprio di fronte al mare, come tale non è mai decollato. Per non parlare del grandioso progetto di Renato Soru del Betile, museo di arte nuragica, che avrebbe dovuto far rinascere il quartiere, sempre osteggiato, quasi vilipeso. E poi, un po’ discosti, i ‘grattacieli’ di via Schiavazzi a ridosso dello stadio, anch’essi ormai simbolo di una riqualificazione mancata.
La domenica le famiglie cagliaritane si mescolavano con gli abitanti del luogo, per comprare il pesce fresco, allora venduto a prezzi ribassati. Oggi ci sono appena alcuni banchi di merce scadente, pesce arrosto a prezzi da ristorante gourmet, verdure non certo fresche di orto. Un minuscolo spiedino di anguille arrosto costa 15 euro. E quei pochi pesci usciti non di recente dal mare si mischiano alle borse farlocche dei marocchini ed alle bancarelle di paccottiglia vestiaria.
Un deserto dell’ibrido, in uno dei luoghi più belli di Cagliari, tornato al suo triste anonimato, per le beghe politiche di chi si ricorda della sua esistenza solo in periodo elettorale. E quel lungomare deserto, col suo fascino irresistibile, coi ricordi delle barche legate a mano nei porticcioli e i bambini che giocavano e facevano il bagno fino all’imbrunire, è un avamposto del silenzio.










