Roberta Squintu ha ventinove anni, la prima volta che mette piede nella sala del Bingo Palace di via Calamattia è “nel 2009. Sono cresciuta dentro l’azienda, ho fatto la venditrice, la capotavola, la cassiera e ho sostituito i miei superiori quando erano in ferie”. Con la chiusura della struttura – legata alle vicende giudiziarie che hanno avuto degli ulteriori sviluppi nelle ultime ore – si ritrova “senza 1400 euro al mese di stipendio, contratto indeterminato, e con una casa da mandare avanti. Convivo da quattro anni, il mio compagno lavora part-time”, spiega la Squintu.
Qualcuno, già da tempi non sospetti, ha puntato il dito contro le sale bingo: “Nessuna persona è mai stata obbligata a entrare qui e giocare, tutti sono sempre stati consapevoli di quanto stavano spendendo. È normale, purtroppo, che un giocatore dica bugie, ma non è colpa nostra. Siamo noi a restare senza stipendio e lavoro, questa è la cosa più triste. Spero che i sindacati ci tutelino, sono molto arrabbiata e delusa e penso continuamente a quale sarà il mio futuro. Nella vita si fanno debiti, magari per acquistare una casa o un’auto. Bisogna starci dentro certe cose prima di commentare in determinati modi”, e il riferimento è alle critiche, “piovute” contro la sua ormai ex categoria lavorativa, sui social network.











