Contratto “a tempo indeterminato, lavoratore al Bingo Palace da tredici anni”. Almeno sino a ieri, Andrea Masia poteva contare su uno stipendio sicuro, così come la sua compagna, “anche lei lavorava nella sala”. 43 anni, di Cagliari, i suoi ruoli erano “caposala e gestione del gioco e del personale. Come reddito annuo erano sui ventisettemila euro, ho una bambina di un anno. Non so ancora cosa fare, siamo nelle mani dei sindacati e del curatore fallimentare e nessuno ha ancora ricevuto la lettera di licenziamento. Nell’ultimo anno l’aria che tirava era buona, ogni giorno venivano centinaia di clienti e solo come vendita di cartelle l’incasso era di un milione e centomila euro al mese, con 750-800mila euro di premi pagati in contati tutti i mesi, nonostante gli orari di apertura ridotti rispetto a quelli di prima. Dalla clientela abbiamo avuto una grossa risposta, e in molti ci stanno mostrando solidarietà”.
C’è però chi punta il dito contro le sale da gioco. Masia è sicuro: “A chi commenta negativamente ricordo che ci sono sessanta persone oneste e che hanno sempre lavorato. Era una sala da gioco”, certo, “nella quale si ritrovavano anche tanti pensionati, sempre con noi, tutte le domeniche a pranzo e a Natale, facevano amicizia tra loro e occupavano sempre lo stesso tavolo, si sentivano meno soli”, osserva il 43enne, “la sala non era frequentata solo da malati di gioco e ludopatici. I giovani mangiavano una pizza pressoché gratis e spendevano venti o trenta euro, i più fortunati ne vincevano mille o duemila”.