Si è svolto ieri a Cagliari, negli spazi del T-Hotel, il Primo Convegno Regionale sulla “Cooperazione in tempo di Guerra”. Un momento di confronto e di riflessione sulle politiche governative, a livello nazionale e in ambito locale, riguardanti il rapporto crescente fra conflitti bellici, flussi migratori, strategie di accoglienza, e nuove forme di solidarietà.
L’iniziativa, organizzata dall”organismo “La Rete Sarda della Cooperazione Internazionale”, ha visto riuniti numerosi esponenti del mondo dell’associazionismo sardo, e con essi, diversi rappresentanti dell’Università, della scuola e del terzo settore.
A moderare l’incontro, il giornalista Luca Foschi, esperto in politiche mediorientali e cronista per diversi territori di guerra. Accanto a lui, Fawzi Ismail (Rete Sarda Cooperazione Internazionale – Amicizia Sardegna Palestina), Giampiero Farru (Presidente CSV Sardegna), Nicola Melis (Dipartimento Scienze Politiche), Stefania Russo (Caritas Sardegna).
Il convegno si inserisce nell’ambito di una programmazione organizzata da “La Rete Sarda della Cooperazione Internazionale”, e che proseguirà, a cadenza mensile, con diversi seminari dedicati al tema della solidarietà internazionale, della multiculturalità diffusa e dell’educazione allo sviluppo, con l’obiettivo di realizzare forme di dialogo e di collaborazione fra i diversi operatori della cooperazione in Sardegna.
Ieri, l’attenzione è stata rivolta all’analisi geopolitica dei diversi territori colpiti dalla guerra: Medio Oriente, Iraq, Siria, Ucraina, Burkina Faso. Sono solo alcuni fra i focolai bellici più visibili e attuali nel largo panorama politico internazionale. Uno scenario che non accenna a ridimensionarsi, e che ripropone, ancora una volta, e con una determinazione schiacciante, il tema primigenio di tutte le guerre contemporanee: l’assoluta affermazione di macro interessi economici, legati a logiche di supremazie politiche, imposti a scapito dei diritti, delle libertà e della vita stessa di popoli e di individui.
La guerra diventa in questo quadro negazione del futuro: l’affermazione che la volontà di alcuni, pochi, di avere tutto e subito, possa impedire la possibilità che altri, tanti, possano vivere in equilibrio con il pianeta in altri tempi e altri luoghi.
Recuperare il valore della cooperazione come strumento di ridistribuzione delle opportunità su scala planetaria, è una via obbligata per ristabilire alleanze fondate sulla pace, sul co-sviluppo, sull’omogeneità dei diritti.
Occorre, allora, inaugurare un nuovo confronto fra nuovi attori civili, per riscrivere una collaborazione progettuale che rimetta al centro la cooperazione come forma di un nuovo “Contratto sociale globale”, sostenuta da politiche pubbliche , e da una maggiore attenzione dei privati.
In questo quadro le stesse ONG non sono più veicoli di cambiamento sociale e, anzi, in molti casi “salvare il mondo” è diventato un grande business. Se è vero infatti che negli ultimi 40 anni abbiamo assistito ad una crescita esponenziale degli attori della società civile in tutto il mondo, è altrettanto vero che l’eccessiva istituzionalizzazione di queste realtà ha provocato una massiccia concentrazione delle stesse sugli assi della progettazione, della burocrazia e dei rendiconti economici, piuttosto che sul reale contrasto a conflitti ancora irrisolti come la guerra contro la povertà, contro la disuguaglianza, contro l’esclusione e il cambiamento climatico.
Spesso, così, le stesse organizzazioni nate per elaborare forme alternative di convivenza civile, si ritrovano a rafforzare i sistemi sociali, economici e politici contro i quali si opponevano, diventando in questo modo parte del problema, piuttosto che la soluzione. Con evidenti aperture alle logiche più esasperate del capitalismo e del marketing.
Realizzare cambiamento in questa direzione diventa impossibile, se non si ritorna a costruire dal basso. Nella dicotomica alternativa fra guerra o cooperazione, la sola via percorribile appare dunque l’assoluto bisogno di promuovere e proteggere spazi civici dove si costruisca solidarietà globale tra le persone, riorganizzando gli attori tradizionali della cooperazione internazionale (Ong su tutti) in un’ottica di reale apertura verso l’esterno e di servizio solidale al cambiamento.












