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di Marcello Polastri
Renzi lo ammette e fa bene per non perdere ulteriore credibilità e per non farla perdere ai suoi uomini. “Ho perso, mi assumo tutte le responsabilità” ha detto poco dopo la mezzanotte collegandosi da Palazzo Chigi. “Domani (oggi, ndr) salirò al Quirinale per rassegnare il mio mandato, l’esperienza del mio governo finisce qui”.
LA RIFORMA costituzionale voluta dal governo è stata bocciata nettamente: in larga maggioranza i No ottengono il 59,14%, con un PICCO INCREDIBILE proprio in Sardegna: 72,22%.
Ha vinto la Costituzione, così com’è. Hanno vinto i giovani che sono andati a votare senza tener conto di un tanto sbandierato “cambiamento”. In cosa, poi, non si è mica capito di fronte al timore manifestato da tanti della privazione della piena partecipazione alla vita politica, ai processi di miglioramento dinnanzi al presente già compromesso. Pur non irrimediabilmente.
Hanno perso i poteri forti e il capitalismo. Vince il popolo che ha bisogno di tanto; ha vinto la Costituzione. Ed il premier Matteo Renzi, come aveva preannunciato, va incontro alle DIMISSIONI.
Il Sì espresso in minoranza dagli italiani di fronte a questo referendum si è fermato intorno al 40%, superando i contrari alla riforma in sole 3 regioni: Emilia Romagna, Toscana e Trentino. Ed in tutte le altre, il No, prevale in modo netto. Ora è tempo di analisi.
C’è chi continua a chiedersi come se fosse importante: ma perché non è passata questa riforma?
Perché il premier l’ha voluta così tanto, con la sua compagine? Semplice, non è stata ben spiegata, anzi è stata spiegata in un modo “sornione” e “leggero” come Renzi sa fare. In maniera che non convince, che stimola diffidenza. Ha perso perché più volte, nel citare il lavoro dei padri costituenti, non ha spigato a quale cambiamento si riferiva.
I NO che hanno prevalso contengono la piena consapevolezza nella scelta del voto.
“Agli amici del Sì – ha detto Renzi – un abbraccio forte e affettuoso, abbiamo dato agli italiani una chance di cambiamento, non siamo riusciti a convincerli”. Ammette il Premier: “Volevamo vincere non partecipare” e si assume “tutte le responsabilità della sconfitta, ho perso io non voi, non sono riuscito a portarvi alla vittoria”. Vincere? Ma vincere effettivamente cosa? Si è parlato di cambiamento non è stato spiegato in modo esauriente verso quali mete, obiettivi, possibili risultati. L’Italia del tutto che appare come il contratto del tutto? Chissà.
“Ho perso e lo ammetto – ha aggiunto il premier – in un Paese dove quasi nessuno lo fa. Quando uno perde non fa finta di nulla, per questo l’esperienza del mio governo finisce qui”. Questo pomeriggio la riunione del Consiglio dei Ministri. “Andrò al Quirinale e rassegnerò le mie dimissioni. Sono fiero e orgoglioso dell’opportunità che il Parlamento ha dato ai cittadini di esprimersi su questa riforma che non siamo riusciti a far capire, viva l’Italia che partecipa”.
E viva la Sardegna, aggiungiamo noi sardi, che è stata determinante. Perché, potremo aggiungere, la Sardegna vide dal Regno d’Italia la nascita dello Stato Italiano: era il 1861 e in seguito alla guerra risorgimentale combattuta dal Regno di Sardegna, avvenne il conseguimento dell’unificazione nazionale italiana. Una coincidenza? Chissà. Ma forse qualcosa di più, un segno, che anche la Sardegna dovrebbe cogliere.