Il Partito sardo d’azione in frantumi, completamente distrutto dopo essere tornato nelle mani di Christian Solinas segretario e Antonio Moro presidente con modalità contestate da più parti, perché “poco chiare e poco trasparenti”, con una acclamazione che non è piaciuta a esponenti di spicco del partito. Come Gianni Chessa, ex assessore di Solinas, neoconsigliere regionale, che a incassare non ci sta più e che, insieme a Piero Maieli, lancia un ultimatum ai due rieletti: o fate un passo indietro oppure ce ne andiamo, con tutto quello che ne consegue in termini di consenso e voti.
“Se entro una decina di giorni non avremo i chiarimenti che abbiamo chiesto ai vertici del partito, ci vedremo costretti a tirare le conclusioni e lasciare”, dicono i due, che si sono già autosospesi subito dopo la bagarre al congresso di domenica. I due, che per ora restano nel gruppo consiliare, chiedono “una profonda riflessione e il passo indietro di Solinas e Moro. Questa nostra contestazione – spiegano – ha l’obiettivo di far capire che la dignità non è in vendita, ci vogliono coerenza e serietà. Nessuna vendetta, ma un atto dovuto a favore di tutti i sardi di fede sardista”, ribadiscono i due.
Clamorosa e inaccettabile, secondo i due ribelli, “la sconfitta clamorosa del partito alle regionali, con un travaso importante in altri partiti della coalizione e nel centrosinistra”, un crollo dei consensi “quasi dimezzati in cinque anni”, dovuto alla “gestione autoritaria e alla mancanza di confronto che hanno caratterizzato la scorsa legislatura”. Per Chessa e Maieli il “congresso non è stato trasparente” ed è stato condotto con “metodo grottesco e dittatoriale”. In particolare, si scagliano contro Antonio Moro, “che per anni ha lanciato fango contro tutti e poi ha improvvisamente sposato la linea del segretario”. A Moro chiedono “dove sono finite le tessere”. Per i due consiglieri questo è l’ultimo tentativo per un confronto con i vertici sardisti, in ogni caso assicurano la scelta di campo: “siamo uomini di centrodestra”.












