Le indagini sull’assassinio di Marco Pusceddu, il soccorritore del 118 ucciso a Buddusò, hanno raggiunto un punto decisivo. Per gli inquirenti non si può più parlare soltanto di ipotesi: al presunto killer è stato dato un volto, almeno per quanto riguarda l’esecutore materiale del delitto. Le immagini delle telecamere lo ritraggono a volto scoperto, senza alcuna preoccupazione di essere riconosciuto: un atteggiamento che conferma il suo diretto coinvolgimento, pur lasciando aperta la possibilità che dietro di lui ci fosse un mandante. Gli investigatori ritengono che l’uomo provenga dal sud Sardegna, la zona in cui Pusceddu aveva operato per oltre dieci anni prima di trasferirsi, in modo inspiegabile e improvviso, nel nord dell’isola. È proprio lì che si concentrano le ipotesi più forti, con piste che vanno dall’ambito lavorativo a quello passionale. Quest’ultima si lega a vecchie denunce per maltrattamenti in famiglia e stalking, elementi che potrebbero aver alimentato rancori e tensioni sfociati poi nell’agguato mortale. A rafforzare il quadro investigativo ci sono gli elementi raccolti dal pm attraverso i colloqui con familiari e amici della vittima, oltre ai riscontri emersi dagli esami su computer e telefonino di Pusceddu. A riaccendere i sospetti anche un episodio avvenuto tre mesi prima: l’aggressione subita da Pusceddu in una piazzola a Carbonia, quando venne colpito alla testa con un cric. Un fatto che oggi viene letto come il segnale concreto di un pericolo già in corso. Per la Procura il quadro appare ormai delineato: tassello dopo tassello, lo scenario si è ricomposto e la verità sembra davvero vicina.












