Nurallao si è svegliata questa mattina con un nuovo capitolo della mobilitazione contro quella che anche nel Sarcidano viene definita “speculazione energetica”. Al suo arrivo per partecipare all’iniziativa Europa Day, il presidente del Consiglio regionale Piero Comandini ha trovato ad attenderlo striscioni e cittadini che gli ricordavano le 210.729 firme della legge di iniziativa popolare Pratobello24, depositate il 2 ottobre 2024 “e poi dimenticate in qualche sgabuzzino del Consiglio regionale”, come sottolineano i manifestanti. Un modo per chiedere ancora una volta che la politica apra finalmente un confronto pubblico sull’assalto energetico in corso nell’isola.
Tra i presenti anche Luigi Pisci, presidente del Comitato Sarcidano di Difesa Territoriale, una delle anime del movimento Pratobello24. Gli attivisti ricordano come quella raccolta firme sia stata una delle più imponenti mai realizzate in Sardegna. Pisci lo ribadisce con una cifra che non lascia spazio a interpretazioni: «211 mila firme in Sardegna sono come otto milioni a livello nazionale». La sensazione diffusa nel territorio, aggiunge, è quella di un tradimento istituzionale, sia sul fronte regionale sia su quello nazionale: «Roma ci attacca e Cagliari non ci difende», afferma, spiegando la frustrazione di comunità che non si sentono rappresentate.
Il cuore del conflitto resta la gestione dei progetti energetici, esplosi dopo l’approvazione del cosiddetto Decreto Draghi, che – sostiene Pisci – avrebbe spalancato le porte a investimenti incontrollati: «Ha dato mani libere alle aziende, che hanno cominciato a presentare progetti a pioggia». Il Sarcidano è oggi uno degli epicentri di questa pressione: «Nel nostro territorio ci sono progetti per 350 pale. Se sommiamo tutte le pale previste nei diversi progetti arriviamo a numeri che comprometterebbero completamente il paesaggio». Si tratta di impianti alti oltre 200 metri, destinati a trasformare in modo irreversibile la fisionomia dei paesi e delle campagne della zona.
Ma ciò che preoccupa maggiormente gli oppositori non è solo l’impatto visivo. Pisci descrive una seconda minaccia, meno evidente ma potenzialmente più grave: «Rischiamo non solo di avere la Sardegna tappezzata di pale e pannelli, ma anche che queste facciano profitti senza produrre neanche un kilowattora, perché se la rete è satura gli impianti stanno fermi ma vengono pagati lo stesso». Un meccanismo previsto dalla normativa nazionale che, per i comitati, si traduce in un doppio danno: territorio compromesso e ricavi che non restano sull’isola.
A tutto questo si aggiunge un ulteriore elemento di tensione: gli espropri. Pisci conferma che, in caso di rifiuto dei proprietari di cedere i terreni, gli impianti potrebbero comunque essere autorizzati: «Se il privato si rifiuta di vendere, c’è l’esproprio per interesse nazionale». Parole che restituiscono il senso di vulnerabilità percepita nelle comunità rurali, molte delle quali vivono della propria terra e la considerano parte integrante della propria identità.
La proposta del movimento, però, non è un semplice “no” alle energie rinnovabili. Al contrario, Pratobello24 indica una via alternativa, basata su un modello diffuso e non invasivo: «Ognuno potrebbe avere il proprio pannello sul tetto e produrre l’energia che gli serve». Per Pisci, questa sarebbe una vera transizione ecologica, “democratica”, capace di ridurre i costi in bolletta e di evitare consumo di suolo: «La legge indica dove gli impianti potrebbero essere costruiti: superfici già cementificate, tetti dei capannoni, delle case, pertinenze stradali. Luoghi che non consumano terra fertile».
Secondo i comitati, la Regione ha oggi una responsabilità decisiva. La legge di iniziativa popolare, affermano, è già stata istruita negli uffici tecnici: manca solo un passaggio politico, la discussione in Aula. Pisci è netto: «La legge deve essere discussa in Consiglio regionale, perché è lì che si decide. Non farlo significa mettere in crisi la democrazia». E conclude con un appello diretto: «Noi abbiamo diritto che la nostra legge venga portata in Aula. È una richiesta di 211 mila sardi».








