Negozi in Sardegna, 920 chiusure nel 2013. Ed è boom di ambulanti

La strana tendenza del commercio: saldo negativo di 436 imprese, ma decolla il negozio di strada


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Nei primi otto mesi dell’anno il commercio al dettaglio in sede fissa ha registrato in Sardegna un saldo negativo di 436 imprese, a fronte di 484 nuove aperture e 920 chiusure. Lo riporta un’indagine dell’Osservatorio Confesercenti regionale della Sardegna.

Alloggio e somministrazione: sparite 177 attività

Non va meglio tra le attività registrate nelle divisioni 55 e 56 della classificazione Ateco 2007. Ci riferiamo alle attività di alloggio e somministrazione (ricettivo, ristoranti e bar) che, nei primi otto mesi del 2013, si sono ridotte di 177 unità, circa l’1,3% del totale delle imprese registrate nei settori di riferimento (13.253 unità lavorative).

Il commercio si sposta dal negozio alla strada

Alla crisi del commercio in sede fissa corrisponde una relativa vitalità degli esercizi su area pubblica che, dall’inizio del 2013, registrano nell’Isola 216 imprese in più. Per quanto riguarda il commercio su area pubblica, da segnalare che la percentuale di imprenditori stranieri nel settore è in costante aumento: negli ultimi trimestri, infatti, circa un terzo dei nuovi iscritti è composto da non italiani. Un fenomeno socio-economico che meriterebbe quanto meno un approfondimento.

“Questa mattanza – commenta il presidente regionale della Confesercenti, Marco Sulis – è dovuta a diversi fattori: lo strapotere della grande distribuzione presente nel territorio sardo; la mancanza di denaro disponibile al consumo da parte dei cittadini sardi, in quanto gli stipendi hanno perso potere d’acquisto; l’eccessivo numero di disoccupati e cassintegrati; il continuo drenaggio fiscale. Se poi resterà in piedi l’ipotesi di aumento dell’Iva, siamo al capolinea. Bisogna rimettere i soldi nelle tasche degli italiani, non c’è scampo. La principale causa del blocco dei consumi, come confermano tutti gli studi di settore, è dovuta essenzialmente alla scarsa disponibilità di soldi. Ecco perché bisogna ridurre la pressione fiscale. L’aumento dell’Iva finirebbe col peggiorare la già drammatica situazione perché colpirebbe tutti. Indistintamente”.