Mostro di Firenze, indagini sull’ex legionario respinte. Ed ecco che rispunta la “pista sarda”

La Procura ha rigettato la richiesta dei familiari delle vittime di riaprire le indagini sul 93enne Giampiero Vigilanti, ex soldato della legione straniera francese, già in passato all’attenzione degli investigatori come possibile soggetto coinvolto nei delitti del Mostro di Firenze.

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E’ stata respinta l’istanza dei familiari di alcune vittime del “Mostro“ volta a riaprire le indagini sui delitti e sull’ex legionario di Prato, il 93enne Giampiero Vigilanti.

In una quindicina di pagine, il procuratore Luca Turco ha smontato le richieste di accertamenti presentate dalle parti civili: le nuove investigazioni non porterebbero ad un sostanziale ribaltamento del quadro indiziario.

L’atto è stato notificato pochi giorni fa agli avvocati che assistono i parenti delle vittime: Vieri Adriani, Valter Biscotti e Antonio Mazzeo. Secondo i magistrati non sussisterebbero quindi nuovi elementi idonei a giustificare una ulteriore inchiesta.

Secondo gli avvocati invece, la richiesta di riapertura delle indagini proposta a marzo 2022 si basa su elementi balistici, genetici e testimoniali che meriterebbero ulteriori approfondimenti, e su altri elementi mai presi in considerazione, relativi proprio all’ex legionario di Prato.

I difensori delle famiglie delle coppie uccise a Scandicci e a Scopeti hanno sollecitato la Procura ad ascoltare Claudio Marucelli Di Biasi. L’uomo, 72 anni, vicino di casa di Vigilanti e, come lui, legato in gioventù ad ambienti di estrema destra, avrebbe riferito a suor Elisabetta, assistente spirituale di Pietro Pacciani, che il legionario sarebbe stato l’organizzatore di campi paramilitari in Calvana e, appunto, uno dei responsabili dei delitti del Mostro.

Proprio suor Elisabetta ha recentemente riferito queste confidenze in un’intervista a Stefano Brogioni del quotidiano “La Nazione”.

La Procura di Firenze, da parte sua, afferma che non esistono prove dell’esistenza di questi campi, anche se ad essi si fa riferimento in alcuni articoli di giornale relativi alla scoperta di depositi di armi e in alcuni verbali su dei misteriosi omicidi avvenuti nella zona. Il possibile collegamento dei delitti del Mostro con gli ambienti della destra eversiva degli anni Sessanta e Settanta sarebbe così escluso dagli inquirenti.

Il troppo tempo trascorso dal compimento dei delitti non facilita il compito di chi persevera nella ricerca della verità. E’ noto infatti quanto la situazione sia complessa da districare, anche per il numero di persone coinvolte e per le numerose articolazioni delle indagini effettuate in tutti questi anni. Indagini alle quali, per un certo periodo, ha dato un contributo anche il Sisde. Nei mesi scorsi, a ridosso dell’istanza presentata dagli avvocati Adriani, Biscotti e Mazzeo, si era menzionato un appunto del Servizio segreto civile, datato novembre 1985 che indicava proprio l’ex legionario Giampiero Vigilanti come possibile “Mostro”. La nota, firmata “M.M.”, presentava alcune parti non completamente trascritte e dunque la segnalazione era giunta incompleta agli inquirenti. Mancavano, in particolare, l’invito a indagare su di lui, la valutazione sulla sua pericolosità e la presunta disponibilità, da parte dell’uomo, di ulteriori armi da fuoco oltre ad una pistola detenuta legalmente.

Nell’istanza di Adriani, Mazzeo e Biscotti, si chiedeva inoltre, che l’impronta dello scarpone repertata sulla scena del delitto di Calenzano avvenuto il 22 ottobre 1981 (vittime Susanna Cambi e Stefano Baldi), venisse comparata con un’altra impronta di anfibio individuata a Scopeti, scena dell’ultimo duplice omicidio del Mostro avvenuto il 7 settembre 1985 (vittime Nadine Mauriot e Jean-Michel Kraveichvili).

E, a proposito dell’impronta di Calenzano, potrebbe rivelarsi significativo quanto posto in evidenza dal quotidiano “La Nazione” in un articolo di settembre 2020. All’epoca delle indagini sul delitto, l’impronta venne erroneamente attribuita a un carabiniere impegnato nei sopralluoghi. In realtà oggi gli inquirenti, scrive il quotidiano fiorentino, hanno messo nero su bianco che lo scarpone non corrisponde a quello utilizzato da nessuna delle nostre forze armate dell’epoca. Risulterebbe essere, piuttosto, l’impronta di uno stivale in uso presso l’esercito francese.

Il procuratore Luca Turco ha smontato le richieste di accertamenti e ha strizzato l’occhio a vecchi spunti investigativi,  come la “pista sarda“. La macchina sportiva rossa, notata a Calenzano nell’ottobre del 1981, viene accostata a “quella all’epoca posseduta da Antonio Vinci, figlio del noto Salvatore. In una vecchia informativa, datata 5 gennaio 1985, i carabinieri segnalano che “Vinci era in possesso dell’autovettura Alfa Romeo 1300 cc targata Fi 752455, tipo G.T., di colore rosso e con ruote munite di cerchioni in lega leggera sporgenti dalla carrozzeria”. Va detto che Antonio Vinci venne interrogato l’11 settembre 1983, subito dopo il delitto di Giogoli, e riferì che l’Alfa rossa si trovava “ferma a Poggio alla Malva vicino alla casa del popolo da circa 4-5 mesi” con il motore rotto.

Ricostruzione che non convince l’avvocato Adriani che pensa invece, per quelle segnalazioni, alla Lancia Flavia di Vigilanti: “Non demordo, ho già pronta una nuova istanza”, ha annunciato. Riguarda proprio i movimenti delle auto notati la sera del delitto di Vicchio, nel luglio del 1984. Verbali e testimonianze che si incrocerebbero con quanto riferì l’imputato-pentito Giancarlo Lotti nel processo che si concluse con le condanne dello stesso Lotti e di Mario Vanni quali complici di Pietro Pacciani.

 

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