di Paolo Rapeanu
C’è chi, nel 2018, non sente la crisi perchè aiuta a “combatterla”, con ago e filo, riuscendo a fare buoni affari con un mestiere antico ma che sta vivendo una nuova giovinezza: il sarto. In un’epoca nella quale si sente tanto parlare di consumismo, bisogna fare i conti con i portafogli sempre più leggeri, anche quelli dei cagliaritani. Il colpo di fulmine di Maurizio Iddas – 51enne cagliaritano – per la sartoria avviene quando ha 13 anni: “Tagliavo con le forbici la gommapiuma per riempire cusicini in una piccola sartoria. Dopo il diploma ho deciso che sarebbe stato il lavoro della mia vita, ho iniziato nel 1991”. Ventisette anni dopo, il termometro segna un buon rialzo: in via Lai, in quel quartiere di San Benedetto dove sono tanti i negozi che, pian piano, scompaiono, Iddas non solo resiste, ma allarga l’azienda: “Insieme a me lavorano due signore”. Un bello schiaffo concreto a chi dice che non c’è lavoro, insomma. Centodieci metri quadri, “pago 800 euro al mese di affitto”, dodici macchine da cucire, un tavolo da taglio e uno spazio dove conserva i tanti abiti da rattoppare, ricucire e, spesso, creare.
“Una volta ho realizzato un abitino per un pastore tedesco, il padrone è diventato un cliente affezionato. Il lavoro non manca mai, da una semplice scucitura a un capo su misura da realizzare, tiriamo avanti grazie ai clienti del rione ma anche a qualche turista”, confida Iddas, “oggi non si butta più via un abito, magari pagato qualche centinaia di euro, solo perchè è malandato e si può riparare con sessanta euro di spesa”. I prezzi sono fissi, ma la concorrenza c’è, soprattutto quella straniera: “I cinesi”, commenta il sarto nato in via Talete, nel cuore del rione Cep, “ma io so che le mie mani valgono tot, e il lavoro va pagato per quello che vale. Non so come lavorino loro, ma molti clienti che hanno preferito andare da loro sono poi ritornati qui da me con la coda tra le gambe”.








