Manuela Siddi, da ventidue anni, lavora all’interno dell’Università, ma come lavoratrice esterna. C’è anche lei tra i tanti lavoratori che negli anni, tra un cambio d’appalto e l’altro, con l’arrivo di nuove ditte, si sono visti assottigliare lo stipendio mensile: “Lavoro nel Centro linguistico d’ateneo, mi occupo di scansione di documenti, rispondo all’utenza al telefono e faccio help desk alla reception. Ogni due o tre anni subiamo dei tagli perchè c’è un cambio di appalto e le condizioni sono sempre peggiorative. Sono passata da un contratto part time di 31 ore da 900 euro a 750 euro. Non si può vivere con queste cifre”. Ora, dietro l’angolo, c’è il rischio di un’ulteriore diminuzione: “Cinquecento euro. E, due anni fa, hanno anche levato la quattordicesima perchè era stato applicato un contratto collettivo nazionale che non corrisponde a ciò che faccio”.
“Ho un mutuo e gli studi universitari da dover pagare. Dopo ventidue anni di quello che io definisco un precariato”, afferma, “è ora di finirla”. Ma l’Università potrebbe fare assunzioni? “Magari potrebbe inserirci, in qualche modo, ho lavorato negli uffici per tanti anni gomito a gomito con i dipendenti”.









