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L’archeologia preistorica: alla scoperta delle radici dell’antica Sardegna

di Redazione Cagliari Online
7 Luglio 2023
in pubbliredazionali

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L’archeologia preistorica: alla scoperta delle radici dell’antica Sardegna

L’archeologia preistorica (X-II millennio a.C.) offre un’affascinante finestra sul passato remoto della Sardegna. Attraverso i siti, i monumenti megalitici, i manufatti artigianali in pietra, argilla, ossidiana e rame dai quali si sono potuti comprendere le abitudini sociali ed economiche, gli archeologi hanno contribuito a gettare luce sulla vita e le tradizioni delle antiche popolazioni dell’isola. Ma non tutto è ancora svelato di questa fase storica che rappresenta un importante fondamento per comprendere lo sviluppo della civiltà successiva, quella dei nuraghi. Insieme, le due ere hanno plasmato la Sardegna in modo unico e affascinante. In particolare il periodo prenuragico, che si estende dal Neolitico medio (6000 a.C.) all’età del Rame (2200-1800 a.C.), copre un arco temporale durante il quale gli antichi sardi si insediarono in villaggi con una pianificazione urbana basilare destinata a ospitare piccole comunità, presumibilmente organizzate in clan familiari, passando da una economia di predazione a quella di produzione (agricoltura e allevamento). Una delle caratteristiche più distintive è rappresentata dai monumenti megalitici come i menhir e i dolmen, strettamente connessi ai riti funebri. I menhir sono grandi pietre verticali erette come confini simbolici a indicare i luoghi di sepoltura o più spiritualmente a indicare il rapporto con la divinità durante il passaggio dalla vita alla morte.

 

Nella necropoli di Li Muri nel territorio di Arzachena in Gallura circondano quattro tombe a pianta quadrangolare. Due cippi di granito in particolare, per il posizionamento e per la differenza tra forma e dimensioni, hanno fatto subito ipotizzare una rappresentazione del principio vitale maschile e femminile.

 

 

 

A Laconi sono esposti in un’area dedicata, il Menhir Museum, diversi reperti ritrovati nella Sardegna Centrale, molti dei quali rappresentano un tentativo di mostrare la figura umana, in quanto presenti in maniera completa o parziale i caratteri del viso. Altri sono ulteriormente scolpiti con elementi legati al trapasso dalla vita alla morte o con stilizzazioni di pugnali, simbolo di virilità, o del seno femminile.

 

Ma a seconda del contesto in cui erano eretti si ritiene potessero avere una molteplicità di significati. A Sa Corte Noa sempre a Laconi la posizione allineata sembra voler simbolicamente proteggere gli spazi o indicare un percorso sacro. Non si può però escludere che fossero essi stessi oggetti di culto. I dolmen, ne sono stati censiti poco più di 250, sono diffusi soprattutto nella zona centro-settentrionale dell’isola. Strutture in pietra per la maggior parte a camera singola, destinate a riti sepolcrali, sono costituite di base da due o tre lastre verticali che ne sostengono una orizzontale. Resta aperto il dibattito se il loro posizionamento potesse essere connesso all’osservazione del cielo o al calcolo del tempo. Frequentemente costruiti nelle vicinanze di percorsi naturali come vallate e canaloni, risultano di grande visibilità dimostrando quali fossero le abilità tecniche e l’ingegnosità delle antiche popolazioni sarde.

 

 

Tra i più imponenti è sicuramente il dolmen Sa Coveccada di Mores (Sassari), alto 2,6 metri e con un corridoio interno lungo 4,2 e largo 1,2. Tra i tesori più affascinanti e misteriosi della Sardegna Antica ci sono poi le “domus de janas”, circa 3.500 in tutta la regione. Sono caverne funerarie scavate nella roccia, singole o raggruppate in necropoli. Si compongono di una serie di camere, corridoi e nicchie per adempiere a due funzioni: accogliere il defunto in una parte riservata e protetta e consentire le visite alla comunità rendendo possibile l’effettuazione di rituali. Una delle ipotesi è che queste tombe, originariamente nascoste e in parte con ingressi stretti e bassi, fossero considerate porte per il mondo dei morti o del soprannaturale.

 

Sant’Andrea Priu a Bonorva (SS) è una necropoli composta da venti domus de janas scavate sulla parete e sul pianoro di un affioramento di rocchia di trachite alto 10 metri e lungo 180. Al loro interno sono riprodotti particolari architettonici abitativi per ricreare ambienti simili alla casa del defunto, come il soffitto con i raggi scolpiti simile ai tetti delle capanne del villaggio. La più imponente è la ‘tomba del capo’: 250 metri quadri e suddivisi in 18 ambienti disposti a labirinto attorno a due vani principali. Altri insediamenti prenuragici rilevanti per dimensione sono le necropoli di Anghelu Ruju ad Alghero (Sassari) con 37 tombe a domus de janas e una sepoltura a fossa e quella di Montessu a Villaperuccio, nel Sud Sardegna, che si estende per oltre un chilometro alle pendici di un rilievo roccioso.

 

 

Infine, per la sua unicità, è degno di essere visitato il tempio di Monte d’Accoddi, nel territorio di Sassari, evolutosi da piattaforma a forma di tronco piramidale, con lati alla base di 27 metri, e una camera sacra della quale rimangono pavimento e resti di un muro perimetrale, a struttura ‘a gradoni’, lunga 40 metri e larga da 13 a 7, molto simile a una ziqqurat sumerica.

 

 

 

 

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