La rabbia dei pazienti sardi per le visite lumaca e le cure a pagamento: “450 euro per una risonanza magnetica”

ECCO LE STORIE E LE CIFRE DELLA SANITA’ IN CRISI A CAGLIARI-Troppi sei mesi per una visita dermatologica al San Giovanni di Dio, troppe le attese in Oculistica, Endocrinologia, Cardiologia. E poi quello slalom costosissimo tra gli esami: ecografie all’addome a pagamento e con corsia riservata a Cagliari, anche 150 euro. Altrimenti ti tieni ansie e dolori, fastidi e rischi che se hai una malattia, magari progredisca sino a diventare qualche volta fatale: Anche una invalida al cento per cento “costretta” a pagare tutti gli esami


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La rabbia dei pazienti sardi per le visite lumaca e le cure a pagamento. Troppi sei mesi per una visita dermatologica al San Giovanni di Dio, troppe le attese in Oculistica, Endocrinologia, Cardiologia. E poi quello slalom costosissimo tra gli esami: ecografie all’addome a pagamento e con corsia riservata a Cagliari, anche 150 euro. Altrimenti ti tieni ansie e dolori, fastidi e rischi che se hai una malattia, magari progredisca sino a diventare qualche volta fatale. Stefano Picariello osserva: “Scendiamo in piazza a volte per cose più banali di questa ma non siamo capaci di ribellarci a quella che oramai è diventata la tangente per curarci. Consideriamo che  alcuni privati non sempre emettono le ricevute, quindi abbiamo modo di farci valere facendo intervenire la finanza ogni qualvolta si presenti una situazione disonesta”. In realtà le fatture sono obbligatorie e dovrebbero essere emesse sempre.  Antonella Cambatzu centra il problema, sentite la sua storia: “È veramente uno schifo, mandare un’anziana di 71 a Sassari per una risonanza. La più vicina era a Luglio, Sanluri: ho accettato perché non ho la possibilità di pagare”. Già, l’impossibilità di molti persino a pagarsi i farmaci, figuriamoci i costosi esami. Federica Puddu si concentra ancora sui tempi: “Ragazzi vogliamo parlare delle risonanze? Con urgenza ti prenotano non prima di ottobre, vergognoso!”, racconta.
Simile la testimonianza di Pamela Deiana, ma il conto è da brividi: “Stessa cosa per la rm..Ho chiamato per prenotare, in convenzione a settembre a pagamento dopo 15 gg.. Ridicolo, costo 450€ per una Rm cervico dorso lombare!”. Perfetta è anche la sintesi di Alida Cordeddu: “Ma scusate, sono centri privati. Se hanno la convenzione con la regione che prevede un tot di prestazioni al giorno col ticket per il resto devono lavorare come privati. Il problema è che non ci sono più gli ospedali a fare le visite! Queste convenzioni nascevano per snellire le liste di attesa degli ospedali non per sostituirli”. Ma quando le liste d’attesa sono diventate ghiacciai insormontabili, ecco che a regnare sono i privati., gli unici  peraltro ad offrire un servizio veloce, seppure a peso d’oro. Frenci Quaranta aggiunge: Comunque accade anche negli ospedali. Se una tac la fai a pagamento, il posto lo trovano in due giorni. Questo perché sono diventate aziende ospedaliere”. “E’ tutto un magna magna , sempre sulla nostra pelle”, dice sconsolata Olga Bandinu.
Maurizio Medda la butta sull’ironia: “Meno male che almeno i medici privati emettono spontaneamente la ricevuta fiscale…..di gomma ma la emettono….”, si tratta ovviamente di una battuta. Carmen Meloni ha in mano i fogli appena stampati: “Successo anche a me: visita ortopedica per mio marito fissata ieri per il 29 luglio, a pagamento sarebbe stata oggi…”. Francesco Orrù mette il dito sulla piaga: “La famosa sanità gratuita italiana. Ricordatevi che anche la prestazione “gratuita”, ancorché fosse eseguita puntualmente e tempestivamente, la paghiamo profumatamente tutti, compresi i sani, con i denari delle nostre vergognose tasse”. Maria Bibili, invalida al cento per cento: “Si , a luglio , mi serviva urgente ho pagato 40 euro … W la sanità … Invalida al 100/100 ho tante ricette rosa , posso farmi un ventaglio , ultimamente tutto a pagamento… vergogna”. “Cagliari…una città da abbandonare”….dice con tristezza Deborah Schirru. Mentre Maria Congia ha prenotato una gastroscopia fissata tra sei mesi (povero stomaco) e addirittura Luciana Cancedda assicura che “per una colonscopia a volte ci vogliono 12 mesi”. Ed è così che guadagnano tanto sia gli studi medici privati (ne è appena nato una immenso e polivalente nel centro di Cagliari) che i laboratori delle varie analisi. Con prezzi sempre più alti, e sempre meno soldi dei cittadini che hanno vissuto l’emergenza Covid e poi la mannaia del carovita alle stelle.
Ed eccole, altre storie di sanità nel caos a Cagliari. Va avanti l’inchiesta di Casteddu Online, tra esami insufficienti e sacche di plasma col contagocce. Natalina Aiello, 67 anni, ormai prossima alla pensione, un passato lavorativo come addetta alle pulizie, oggi ringrazia principalmente se stessa se sta bene: “A inizio 2019 ho fatto una mammografia alla Cittadella della salute. Dopo pochi giorni mi hanno spedito l’esito: negativo. E non mi hanno spedito nessuna lastra”. Ma la donna ha sentito, nel vero senso della parola, che c’era qualcosa che non va: “Un gonfiore al seno sinistro, era come se avessi una noce. Sono a fare un’ecografia in privato, pagata una sessantina di euro, e il medico mi ha chiesto da quanto tempo non facessi una mammografia”. La Aiello è rimasta sorpresa: “L’avevo fatta 15 giorni fa. Mio marito è dovuto andare a farsi dare le lastre, solo in quel momento ho scoperto di avere un carcinoma. A fine febbraio mi hanno operata all’Oncologico. L’operazione è andata bene, ma se non mi fossi preoccupata, e se non avessi fatto ulteriori accertamenti, forse oggi non sarei più su questa terra”, conclude, sospirando profondamente, la donna.
Stefano Vargiu è più giovane. Ha 57 anni è di Assemini ed è talassemico dalla nascita: “Talassemico major, ho il morbo di Cooley. Devo fare periodiche trasfusioni di sangue al Microcitemico di Cagliari. Mi ritengo fortunato perché oltre all’età, sono in buona salute e strutturato socialmente e moralmente. Grazie a chi? Alla sorte, alla mia famiglia che mi ha sostenuto e alla medicina e alle istituzioni che negli anni hanno lottato per garantirmi una vita sana, nella malattia, e decorosa”. Ma non è tutto rose e fiori nemmeno per lui. Vargiu, da paziente ed ex rappresentante dell’associazione dei talassemici sardi, ha raccontato in una lunga lettera cosa gli è accaduto due giorni fa: “Mi è venuto da piangere, mi sono ritrovato in trasfusione e solo all’ultimo sono venuto a conoscenza che tutte quelle programmate per il turno pomeridiano erano state annullate. A me, ad esempio, hanno preparato un sola sacca, nonostante la richiesta minima di due necessarie, in base al mio peso corporeo e alle mie esigenze fisiche e dopo aver subíto, 15 giorni fa, una reazione trasfusionale. Una sacca è arrivata alle 13:30 in reparto, dopo che abbiamo la regola di arrivare entro le 9”, racconta, “mi è venuto da piangere anche nel sentire le risposte dei miei medici che hanno cercato di mediare con il centro trasfusionale del Brotzu, attualmente sguarnito di personale e di tecnici. Non avere più la sicurezza delle trasfusioni mi porta a dover riprogrammare la vita, senza mai avere certezze. Non posso e non possiamo avere libertà di decisione su cosa fare domani, perché magari non ho un’emoglobina adeguata ad andare al mare, programmare una gita o pensare di andare al lavoro. Questa non è più vita”, sentenzia, deciso, Vargiu. “Questa è la mortificazione dei nostri diritti. La storia che non c’è sangue non funziona più, anche se comprensibile. La Sardegna è da sempre in carenza di sangue e spesso costretta a firmare convenzioni con regioni più virtuose per l’approvvigionamento”. Stefano Vargiu è laconico: “La politica regionale sarda sa che cosa non funziona nella sanità e pensa a realizzare 4 nuovi ospedali, senza curare la medicina già esistente sul territorio. Non funziona nulla perché sappiamo che chi è preposto per ricevere donatori spontanei non è in grado di accoglierli per mancanza di personale, fatto dichiarato dai dirigenti del centro trasfusionale, e per ingressi sempre più a dimensione della struttura e non del donatore, che va spontaneamente a orari adatti alla persona e che spesso si trova la porta del centro prelievi sbarrata, o con un cartello che gli dice che deve telefonare e programmare la donazione in giornate che magari lo inducono a indietreggiare e tornare a casa, dispiaciuto di non aver potuto compiere il suo gesto di generosità. Non bastava il Covid per distruggerci, moralmente e come malati. La vita è breve per tutti ma se quel poco che si vive e si guadagna viene speso nell’aiutare il prossimo, di sicuro farà vivere meglio e con maggiore soddisfazione”. (L’inchiesta continua)


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