Lettera aperta: Il costo di una cura
Oggi, dopo oltre venti giorni di ricovero, un giovane medico si è presentato ai piedi del letto di mia moglie, che sta affrontando con dignità un periodo difficile, a seguito di una frattura scomposta al femore e di un intervento chirurgico al braccio.
Con tono distaccato le ha chiesto da quanto tempo fosse in ospedale.
Lei ha risposto: “Più o meno una ventina di giorni.”
La replica del medico è stata:
“Pensi quanto è costata alla sanità la sua permanenza qui.”
Forse voleva essere una battuta, ma in realtà rivela molto di più: una deriva culturale che riduce, nella mente di alcuni, la cura a un bilancio economico, dimenticando che dietro ogni letto d’ospedale c’è una persona, una storia, un dolore, una speranza.
E un trascorso personale che nessuno ha il diritto di giudicare.
Vorrei dire a questo giovane, e ricordare a tutti quelli che come lui pronunciano parole simili, che anche loro sono costati alla collettività: la scuola, l’università, la formazione medica non sono regali del destino, ma frutti delle tasse di milioni di cittadini.
Eppure nessuno — tanto meno mia moglie — si sognerebbe di chiedere loro “quanto sei costato allo Stato”, perché l’investimento nella conoscenza, nella sanità e nella solidarietà è ciò che ci rende una comunità civile.
La sanità pubblica non è un’azienda e il malato non è una spesa: è un cittadino che, nel momento di maggiore vulnerabilità, ha diritto a essere curato e rispettato.
Il valore di un medico non si misura in quanti giorni riduce la degenza, ma in quanta umanità riesce a donare a chi soffre.
Mi chiedo, allora, se il denaro pubblico investito per la formazione di certi professionisti sia davvero speso bene, considerando le parole e l’assenza di sensibilità che a volte le accompagnano.
E vorrei ricordare a lui — e a chiunque indossi un camice senza comprenderne il peso morale — che su un letto d’ospedale, domani o dopodomani, potremmo finirci tutti.
Capisco la carenza di personale, la fatica, le pressioni quotidiane.
Ma accanto alla competenza tecnica serve una selezione morale, una capacità di vedere nel malato non un costo, ma un essere umano.
Solo allora la cura tornerà ad avere il suo vero valore.
di Carlo Seu













