di Sergio Atzeni
Proteso nel mare quasi a volerlo controllare e rabbonire, onde proteggere la baia di Cagliari di cui pare custode è paladino. Questo è il colle di Sant’Elia vero è proprio spartiacque che divide il Golfo degli Angeli in due archi che convergono su di esso. Questo promontorio fu la dimora dei primi abitanti della zona che nel neolitico, forse 6000 anni or sono, usarono i suoi anfratti è le grotte naturali come residenze. Reperti interessanti si sono rinvenuti nella grotta dei Colombi ed in stazioni all’aperto della Sella del Diavolo e in ripari sotto roccia.
È emerso che quei proto-cagliaritani vivessero con ciò che il mare concedeva, oltre i frutti naturali della terra, usando per i vari scopi utensili in pietra e ossidiana. Costruivano vasellame d’uso comune non di rado decorato a impressione con il guscio del cardium edule (ceramica cardiale). La parte orientale del colle sembra scolpita da un valente artista che ha rappresentato una sella in modo così perfetto da suggerire il nome ed una leggenda.
La credenza popolare racconta che una volta nella zona imperversasse una moltitudine di diavoli che razziavano è spargevano il terrore tra gli abitanti che si videro costretti a chiedere aiuto all’arcangelo Michele che arrivò con un esercito di angeli.
La lotta che ne scaturì vide i demoni soccombere e darsi ad una precipitosa fuga è lo stesso Lucifero perse la sella del suo cavallo che cadendo in mare con un boato terrificante rimase pietrificata. Lo scopo evidente era quello di lasciare un segno che ammonisse altri diavoli con cattive intenzioni. Tutta la zona da allora è presidiata dagli angeli per questo il golfo prese il loro nome.
Il colle, data la sua posizione ed il suo alone mistico, fu scelto dai cartaginesi per la costruzione di un tempio dedicato ad Astarte e inserito, probabilmente, in un sistema fortificato con lo scopo di vedetta e difesa.
Ora quell’erta appare desolata e spoglia, quasi malinconica, ma una volta doveva essere ricoperta da una folta vegetazione costituita da cisti, lentischi e ginepri, infatti nel 1819 Alberto Ferrero della Marmora, in occasione della sua prima visita a Cagliari, trovò i residui di quella vegetazione, già allora ormai del tutto scomparsa, e scoprì due nuove specie di piccoli uccelli che chiamò “Sylvia Cospocillata e Syilvia Sardoa”: una conferma dell’antico splendore del colle che consentì l’evoluzione dei due nuovi tipi ornitologici.
Ai piedi del colle di Sant’Elia, data la sua distanza dal centro cittadino, fu costruito un lazzaretto destinato ad accogliere le persone colpite da mali incurabili e ospitare, in quarantena, viaggiatori giunti per via mare, sempre temuti in quanto possibili diffusori di epidemie.
Alle sue pendici la zona di San Bartolomeo con la omonima chiesa ed il bagno penale, residenza dei detenuti costretti all’estrazione del sale in periodo piemontese.
La parte meridionale della collina si presenta con una scarpata che improvvisamente precipita in mare come le falesie dove scogli emergenti denunciano una erosione in corso, la stessa che ha scavato mirabilmente la grotta dei Colombi. La torre di avvistamento chiamata del poeta fa capolino ad oriente e pare abbia dato il nome al litorale dal Poetto che da quel punto si diparte con andamento regolare ma leggermente flessuoso.
La costruzione che domina il panorama che avverte chi doppia il promontorio della vicinanza di Cagliari è la torre di Sant’Elia chiamata anche dei segnali.
Costruita nel 1638 dagli spagnoli con il compito di difesa dagli attacchi barbareschi, come tante altre in Sardegna, ma ben tre volte più grande come conferma la circonferenza, era destinata ad ospitare un buon numero di cannoni a lunga gittata che dovevano dare sicurezza all’intera zona e al capoluogo della Sardegna.
La torre era dotata anche di un sistema di segnalazioni per avvertire la città in modo sicuro è veloce di eventuali pericoli, da questo deriva il suo secondo nome prima menzionato.
I piemontesi modificarono ulteriormente la costruzione faccendone un vero forte, costruendo nel 1859 anche un faro poco distante destinato ai naviganti oggi sotto il controllo della marina militare.
Un’altra vetusta costruzione, ora ridotta a rudere e che non fu mai ultimata, è il fortino di Sant’Elia chiamato anche di Sant’Ignazio che risale al 1792 quando il pericolo di invasione francese consiglio l’edificazione di un valido baluardo che con i suoi cannoni potesse battere la rada di Cagliari.
I francesi arrivarono prima del previsto, nel 1793, ed il moderno forte non poté assolvere ancora ai compiti assegnati sulla carta anzi, scampato il pericolo, il progetto originale fu abbandonato ed il forte non fu mai completato è lasciato dai militari nel 1804 e usato dalle autorità civili per ospitare i malati che non trovavano posto nel vicino lazzaretto.
Durante l’ultima guerra, il colle fu sede di una batteria contraerea è antinave composta da sei postazioni collegate tra loro da tunnel scavati nella roccia.
Dopo la guerra alle falde del colle si costruì un quartiere popolare che ben presto, abbandonato a se stesso, divento un vero e proprio ghetto. Solo di recente è stato bonificato in parte ed in parte evacuato trasferendo gli abitanti nel nuovo quartiere con lo stesso nome composto da anonimi palazzoni che, nelle intenzioni, dovevano impedire l’isolamento dei residenti.
Ma nella realtà l’operazione si è dimostrata un fallimento, forse anche abbastanza prevedibile, perché l’integrazione non si può ottenere senza strutture, servizi e occasioni di lavoro onesto.
Il colle di Sant’Elia con le sue cale e le sue bellezze naturali oggi è chiuso da reticolati e occupato da presidi e caserme militari che impediscono la sua valorizzazione è l’integrazione nel patrimonio della città di Cagliari.
Solo alcune associazioni culturali organizzano delle visite guidate nel colle e così tanti cittadini possono conoscere e toccare con mano quello che per secoli è stato un sito importante quanto misterioso della storia di Cagliari.











