La decisione del consiglio regionale della Sardegna di fissare tempi e procedure per l’accesso al suicidio medicalmente assistito ha acceso un fronte di forte contrarietà all’interno della Chiesa isolana. La Conferenza episcopale sarda esprime“preoccupazione” e ribadisce con fermezza la propria posizione: “La vita va sempre difesa, non è accettabile aiutare un malato a morire”.
Per i vescovi, il dibattito non può ridursi a una battaglia politica. “Il tema della difesa della vita – sottolineano – non può essere usato come occasione di contrapposizione ideologica o di ricerca di consenso elettorale. Richiede invece un approfondimento serio e rispettoso della dignità della persona”. La posizione della Chiesa sarda si allinea a quella della Conferenza episcopale italiana, che già a febbraio aveva richiamato l’attenzione sul rischio di uno scivolamento culturale. “Occorre favorire l’accompagnamento e la cura nella malattia – ribadiscono i presuli – e sostenere concretamente le famiglie nelle situazioni di sofferenza”.
Da qui anche un appello diretto alla politica regionale: dare finalmente piena attuazione al “Piano di potenziamento della Rete regionale di cure palliative 2024”, approvato dalla giunta a settembre, ma ancora in attesa di tradursi in interventi concreti sul territorio. “La dignità – conclude la nota dei vescovi – non finisce con la malattia né con la perdita di efficienza. Non parliamo di accanimento terapeutico, al quale siamo contrari, ma di non smarrire l’umanità”.











