I giorni di attesa rispetto ai novanta, massimi, previsti dalla legge, sono una chimera. Sperare in una visita dermatologica, a meno che non si sia un caso segnato come grave, rimane un’impresa anche a Cagliari, fatta di macchie, paure ed eventuali dolori. Lo stesso assessore regionale della Sanità, analizzando il dato complessivo regionale, aveva ammesso che c’è stato un netto peggioramento: bastavano 48 giorni per finire davanti a un rassicurante medico nel 2018, oggi ne servono 137 e e sperare di essere tra i “primi ritardatari” ad essere contattati.
Le tabelle dell’Ats parlano chiaro, fotografano la situazione di due mesi fa ed è chiaro che la tendenza non può essersi invertita in così poco tempo. Il 98% delle priorità brevi, cioè alle quali bisogna garantire un consulto entro dieci giorni, vanno in porto. Se non sei moribondo ma, comunque, preoccupato per escoriazioni, macchie, pomate da acquistare in farmacia e, spesso, dolori a corredi, è meglio mettersi l’anima in pace. Certo, si può aprire il portafoglio e andare in privato, ma ormai è paragonabile ad una bestemmia davanti all’altare ricordare questa opzione, vista la sanità sarda allo sbando.
Per la dermatologia a Cagliari in prima battuta c’è il San Giovanni di Dio, ospedale vecchia conoscenza di ritardi e lamentele. I numeri, impietosi, fanno capire come sia impossibile avere una diagnosi sicura nei tempi previsti dai medici di famiglia e che dovrebbero, il condizionale è d’obbligo, essere garantiti per legge. Se il dottore firma l’impegnativa di 30 giorni se ne possono mettere in conto 119 prima di essere chiamati: appena il 43% di chi ne fa richiesta viene seguito nei tempi. Si crolla addirittura ad una mancata copertura del 66% dei pazienti da visitare entro due mesi, con l’attesa che schizza a centoquarantotto giorni, cioè quasi cinque mesi. E se durante l’attesa uno dovesse peggiorare? Affari suoi, detto in modo molto crudo ma utile a comprendere la situazione. A meno che non scelga di andare in privato da uno dei medici che operano nella stessa struttura, a cifre salate. Il paradosso della medicina, come sempre. Tanto, tra i rimpalli tra medici e politici e politici e medici, chi paga è sempre il cittadino. Malato, anche se non gravissimo, ma con un diritto all’assistenza palesemente negato nei tempi previsti.










