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Cast stellare per “La gatta sul tetto che scotta” al Teatro Massimo

di Redazione Cagliari Online
24 Giugno 2017
in eventi

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Ritratto di famiglia in un interno, tra segreti e inganni, avidità e disincanto per un classico del Novecento: “La gatta sul tetto che scotta” di Tennessee Williams inaugura – lunedì 14 dicembre alle 21 – la stagione 2015-16 de La Grande Prosa del CeDAC/ Circuito Multidisciplinare della Sardegna al Teatro Comunale di Sassari, nell’interessante mise en scène de Gli Ipocriti firmata da uno dei registi di punta del teatro italiano contemporaneo, il partenopeo Arturo Cirillo.
Cast stellare per un intenso dramma americano (Premio Pulitzer nel 1955): nei ruoli dei due giovani protagonisti, Maggie “la gatta” e Brick, un ex giocatore di football, rispettivamente Vittoria Puccini (diva del grande e del piccolo schermo al suo debutto sulla scena) e Vinicio Marchioni (attore di teatro e cinema, diretto da artisti come Luca Ronconi e Antonio Latella – nonché interprete de Il Freddo in “Romanzo Criminale”), accanto a Paolo Musio (Papà), Franca Penone (Mamma), Salvatore Caruso (reverendo Tooker e dottor Baugh), Francesco Petruzzelli (Gooper, il fratello di Brick) e Carlotta Mangione (la cognata Mae).
La pièce che descrive magistralmente la complessità dei rapporti tra genitori e figli, l’intricata trama degli affetti e delle gelosie, e i fragili equilibri di una coppia fondata su un’illusione d’amore sarà poi in cartellone al Teatro Massimo di Cagliari da mercoledì 16 a domenica 20 dicembre (tutti i giorni da mercoledì a sabato alle 20.30 e domenica alle 19) per il secondo appuntamento con la stagione de La Grande Prosa del CeDAC – dopo “Marie-Louise”, l’immaginifico cirque choréographié di Florence Caillon.
Sempre a Cagliari – per OLTRE LA SCENA/ gli artisti (si) raccontano… venerdì 18 dicembre alle 17.30 tutta la compagnia (Vittoria Puccini e Vinicio Marchioni, Paolo Musio, Franca Penone, Salvatore Caruso, Francesco Petruzzelli e Carlotta Mangione) incontrerà il pubblico al Cinema Odissea in viale Trieste 84 a Cagliari per raccontare la trama, i temi e i personaggi de “La gatta sul tetto che scotta” e svelare aneddoti e segreti del mestiere dell’attore – condurrà la giornalista Francesca Figus (L’Unione Sarda) – INGRESSO LIBERO
Visioni d’autore per Schermi & Sipari – la rassegna promossa da CeDAC e Spazio 2001 che mette a confronto i linguaggi della scena e la decima musa: domenica 20 dicembre alle 11 – in matinée al Cinema Odissea di Cagliari si proietterà il film “La gatta sul tetto che scotta” (Cat on a Hot Tin Roof) di Richard Brooks con Elizabeth Taylor e Paul Newman, Jack Carson e Burl Ives (durata 94 minuti – USA 1958) per ritrovare le atmosfere dell’epoca e perfino una certa pruderie, un riserbo nell’affrontare un tema per quei temi scandaloso, e proibito, come l’omosessualità.

***

“La gatta sul tetto che scotta” racconta le ansie, il difficile presente e l’incertezza del futuro di Maggie, una giovane donna, ferita dalla freddezza del marito – e dalla finzione di un matrimonio di facciata – e il dolore nascosto di Brick, ex campione di football, cupo e introverso, che maschera dietro i silenzi, l’insofferenza verso le avances della moglie e le risposte rudi, le proprie ferite sull’anima, e in particolare la tragedia della perdita di un amico, un ex compagno di squadra, che si è tolto la vita.
Un groviglio di passioni – e contraddizioni – racchiuse tra le mura domestiche: dal complicato rapporto di Brick con il padre, fatto di reciproco rispetto, ma anche di rabbia da parte del figlio, di sottintesi, con una profonda incomunicabilità ben oltre i limiti di un conflitto generazionale, all’affetto silenzioso della madre, che ha cresciuto i figli e curato il marito, dispensando comprensione, e cercando di rimettere pace, facendosi carico di malumori e disagi.
L’avidità e l’invidia – incarnate dal fratello di Brick, Gooper e Mae, sua moglie – avvelenano ulteriormente l’atmosfera familiare, tra esagerate e interessate manifestazioni d’affetto, e la malcelata aspirazione ad ereditare il patrimonio del vecchio, per cui non esitano ad approfittare della situazione per mettere in cattiva luce i presunti “rivali” – Brick e consorte – e far valere meglio i propri diritti.
Maggie dal canto suo – ragazza di umili origini cui il matrimonio ha comunque conferito uno status superiore – è ben decisa a difendere la sua posizione e soprattutto a riconquistare l’affetto del marito, ma non soltanto per squallide ragioni di carattere materiale o per soddisfare la propria ambizione, ma perché sinceramente innamorata di Brick.
Il dramma tutto interiore di Brick, e le incertezze di Maggie – la “gatta” imprigionata sul un tetto rovente, determinata però a non cadere – appaiono in tutt’altra luce quando si apprende la verità sulle condizioni di salute del padre: la malattia e l’imminenza della fine, mutano la prospettiva, e quasi impercettibilmente gli equilibri e gli atteggiamenti dei protagonisti. La consapevolezza di una condanna irrevocabile fa sbiadire gli antichi rancori, non lascia spazio per fantasie malinconiche e discorsi sospesi, costringe quasi i personaggi ad affrontare i nodi irrisolti, e cercare una forma di riconciliazione e consolazione reciproca.
La vita – in tutta la sua crudeltà e durezza – mette in fuga le ombre, e concede generosamente alla famiglia di ricomporsi e stringersi intorno al patriarca, senza lasciare troppo spazio alla voragine dei rimorsi e dei rimpianti: forse è solo l’illusione di un istante, ma la tragedia annunciata ha comunque il merito di mostrare la vera essenza di ciascuno, la tempra e gli ideali, smascherando ipocrisie e ripristinando una scala dei valori.
L’arte di Tennessee Williams – al secolo Thomas Lanier Williams – tra i più brillanti e celebrati drammaturghi americani – mette a nudo l’anima dei protagonisti, attraverso parole e gesti apparentemente insignificanti, minimalisti e quotidiani, quasi casuali, ma significativi che compongono come le tessere di un mosaico un ritratto efficace dei singoli personaggi e mostrano il volto mutevole, sfaccettato e contraddittorio della verità. In questo vivido ed intrigante affresco di varia umanità, con tutti i suoi vizi e le rare, e preziose, virtù, sul filo di una sottile tensione, una suspense legata ai segreti inconfessabili (perfino a se stessi) e al presentimento di una catastrofe, affiorano le ragioni diverse, perfino opposte, di ognuno, le percezioni e interpretazioni della realtà, l’impossibilità di distinguere il confine tra vita e sogno, inconsapevole (auto)inganno e realtà.
Per un attimo – come in una fotografia – il mondo frantumato delle donne e degli uomini coinvolti nella vicenda si ricompone secondo un ordine logico e condivisibile: il padre riprende il suo posto di pilastro della famiglia, marito affettuoso e punto di riferimento per i figli, dispensatore di consigli, in grado di intuire anche ciò che viene taciuto, e perdonare e Brick è di nuovo il bravo e onesto ragazzo, un po’ smarrito, disposto a lasciarsi amare e consolare da Maggie, mentre l’avidità di fratello e cognata viene punita.
S’intuisce che la quiete dopo la tempesta, segnale di un nuovo inizio, potrebbe rivelarsi una calma passeggera: ma è quella la visione che illumina la pièce, l’immagine della famiglia felice – non perché non vi siano differenze di vedute o contrasti, ma perché in seno a quella cellula sociale basilare è ancora possibile fondare i legami sull’amore invece che sull’odio, (ri)creare un’armonia.

Il segreto di Brick diventa fondamentale – al di là della sua stessa natura – per capire come siano proprie quelle verità nascoste che pesano come macigni e gettano un’ombra sul presente: il tema dell’omosessualità e dell’outing mancato sessant’anni dopo suonano stranamente – e perfino dolorosamente – attuali in una società che dietro una dichiarata libertà individuale e un cambiamento di costumi tende a reprimere, giudicare, emarginare e condannare ogni forma di diversità.
Se la morale corrente sembra essersi “adeguata” alla realtà, episodi di bullismo e violenza dimostrano come in fondo, duemila e cinquecento anni di civiltà non impediscono il ritorno alla barbarie e all’oscurantismo, nella ricerca di un “capro espiatorio” da offrire in sacrificio per le colpe, le mancanze, e le omissioni della comunità.

Tags: Cagliarispettacoloteatro massimo
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