Il ritrovamento del fascicolo scomparso sul caso di Aldo Scardella, arrestato ingiustamente e morto suicida nel carcere di Buoncammino il 2 luglio 1986, riapre una ferita che non si è mai davvero chiusa. Soprattutto per Cristiano, il fratello, che da quella assenza ha dovuto imparare a sopravvivere.
La sua è una vicenda umana fatta di dolore, dignità e ostinazione. Ed è anche il racconto di come una tragedia possa trasformarsi in parola, in battaglia civile, perfino in poesia.
Aldo, un errore giudiziario che non smette di bruciare
Aldo aveva 25 anni quando fu arrestato con l’accusa di aver partecipato alla rapina al Bevimarket, in cui perse la vita il titolare. Era innocente. La sua posizione venne chiarita anni dopo, con la condanna definitiva — nel 2002 – di altre persone. Ma per Aldo fu troppo tardi: l’isolamento, la pressione, l’accusa infamante senza prove. E un suicidio che ha lasciato un solco nella famiglia Scardella, e “molti dubbi”, come dichiarato dallo stesso fratello.
Cristiano lo ricorda ogni giorno: «L’ingiustizia che abbiamo subìto ha tirato fuori tutto», dice oggi. «Prima vivi la sofferenza in maniera dura, poi cerchi un modo diverso per elaborarla. La scrittura è stata la mia salvezza».
Il fascicolo sparito e poi ritrovato: un’altra ferita
Il 9 novembre 2023 Cristiano, assistito dagli avvocati Silvia Marzot e Mauro Trogu, aveva chiesto l’accesso agli atti per ricostruire, finalmente e completamente, la catena di errori che aveva distrutto la vita del fratello. Una parte dei documenti era stata visionata, poi tra febbraio e marzo 2024 il fascicolo risultò sparito. La paura era che fosse stato distrutto per errore insieme a vecchie pratiche degli anni ’90. Ma la Procura generale si è attivata e il materiale è stato recuperato.
Scrivere per non scomparire
Cristiano ha attraversato anni complessi tra l’abbandono del lavoro e la solitudine. Ma da quel magma è nato un cammino di espressione, quasi una resistenza personale.
Il primo libro, ‘Fuori dalla gabbia’, arriva nel 2014: “Parla molto di Aldo, del quartiere e della vicenda, con domande a professionisti della giustizia”, spiega. Poi un secondo libro nel 2024, dal nome ‘Aldo Scardella, orrore senza fine, un’anima bruciata’, che è una continuazione del primo “ma è uscito a freddo, per certi versi anche migliore”. In quelle pagine, anche la lunga battaglia per ottenere verità e rispetto dopo la morte del fratello.
Nel maggio 2025, esce il più sorprendente dei progetti: una raccolta di poesie, 95 testi raccolti sotto un titolo enigmatico e tagliente, “Lunghi Percorsi”. Non un trattato giudiziario, ma un insieme di immagini, sentimenti, visioni.
“La vena poetica è nata dopo la tragedia. Nel libro ci sono solo due poesie sul carcere, le altre sono su altro, mi allontano dal tema”.
Nel frattempo Cristiano continua a scrivere: “Quella che ti ho mandato oggi è nuova. È una poesia sulla rinascita”. La voce gli si fa quasi stupita: “Ne aggiungo sempre. È come se qualcosa si fosse aperto”.
Il cambiamento dopo Aldo
La storia di Aldo non è stata inutile. Ha aperto discussioni nel mondo penitenziario, ha contribuito — anche indirettamente — alla revisione delle norme sull’isolamento: «Prima potevi stare anni da solo. Dopo la morte di mio fratello hanno messo il limite di 15 giorni», ricorda Cristiano. «Hanno studiato la sua storia».
È uno dei pochi elementi di luce in un quadro altrimenti devastante.
Il fratello che resiste
Cristiano oggi vive di libri, di incontri, di presentazioni, come quella prevista il 9 dicembre per ‘Lunghi percorsi’ nel centro culturale Su Tzirculu, in via Molise. E vive soprattutto del dovere di testimoniare. «Non ricordo mai di essermi salvato, ma mi sono salvato», dice. «Scrivere è il modo che ho per essere ancora qui, per far vivere Aldo».
E mentre il fascicolo torna a raccontare la sua verità cartacea, Cristiano continua la sua: quella scritta a mano, a voce, in versi. Una verità che non si può archiviare. Perché è viva. Perché resiste. Perché è poesia.











