A Capoterra una storia che fa riflettere: quella di un dolcissimo cagnetto intrappolato in un laccio dei bracconieri, salvato per miracolo da escursionisti di passaggio. Emblematico su Fb il racconto di Marta Ecca: “Un laccio di ferro a mezza altezza fra gli alberi strategicamente piegati per creare un corridoio obbligatorio, un anello al centro, di quelli che più provi a liberarti e più ti spezza il collo. Ore e ore di urla che fanno male al cuore, forse giorni, nell’indifferenza di chi alla comunità montana di Capoterra trascorre qualche pomeriggio d’aria. E’ zona frequentata.
Una passeggiata in montagna, una richiesta d’aiuto ignorata da parte di chi, lì, stava raccogliendo asparagi, e non ha potuto non sentire.
E allora, con la mia famiglia abbiamo ripercorso il sentiero, guidati dalla sofferenza di quel povero animale.
Davanti agli occhi, un cane che nel giro di poche ore sarebbe morto.
Terrorizzato, infreddolito, stritolato dal ferro posizionato per togliere la vita a un cinghiale.
In zona di divieto, ma questo per me non fa alcuna differenza.
La caccia, illegale o meno poco importa, violenta, di cui si conoscono i metodi, i luoghi e le trappole mortali, la si combatte con controlli e provvedimenti severi, non con la complicità e l’indifferenza.
Perché queste cose si sanno, ma il consenso fa gola, e allora meglio voltare le spalle.
E poi mi si chiede perché ogni giorno combatto perché agli animali sia riconosciuto il medesimo diritto di stare al mondo. Liberi.
Il cane, disorientato, scosso, è scappato, non ha voluto bere o mangiare.
A lui, l’augurio di una vita libera”. Nella foto, il cane intrappolato.












