È morto positivo al Coronavirus, e con complicazioni respiratorie, a 71 anni, dopo essere stato colpito dal virus durante il boom di contagi registrato nella casa di riposo per anziani di Terramaini, a Cagliari. Mario Nato, residente nella struttura sin dal 2016, era tra gli ospiti che alloggiavano tutti allo stesso piano, il primo, dove si è registrato il focolaio. La stampa, all’epoca, incluso il nostro giornale, ne aveva dato notizia con più articoli: le prime informazioni trapelate dalla casa di via Valerio Pisano parlavano di “un contagio partito da un operatore che aveva anche già ricevuto la prima dose di vaccino”. Dieci giorni dopo la stessa Fp Cgil parlava apertamente di “qualche falla”, con tanto di “preoccupazione per gli anziani. Non tutto è sotto controllo. Dopo il primo caso accertato, non sarebbero stati comunicati tempestivamente i risultati dei tamponi effettuati tra gli operatori, al punto che alcuni sarebbero stati messi in turno senza conoscerne l’esito”. Il caso del maxi focolaio era arrivato anche in Consiglio comunale: “Tutti i contagi sono stati registrati in un solo piano della struttura, ad alcuni ospiti era consentito di uscire dalla struttura per andare alle Poste per ritirare la pensione”. Alessandro e Stefano Nato, figli della vittima, avevano anche allegato alla denuncia alcuni screenshot di WhatsApp con dei messaggi di lamentele di una parente di uno dei nonnini, che rimarcava ciò che avevano già visto, durante le videochiamate col proprio parente, i figli del 75enne, ovvero “il non utilizzo delle mascherine da parte degli operatori”.
Il pm, però, lo scorso 4 gennaio, ha chiesto al gip l’archiviazione: “Per quanto sia stato rilevato che tutti i contagi erano stati riscontrati nello stesso piano, quello dove prestava servizio l’Oss messo in servizio nonostante fosse positivo, gli stessi querelanti evidenziano che svariati ospiti della struttura erano usciti per ritirare la pensione e avevano potuto fare rientro senza particolari precauzioni e controlli circa un loro eventuale contagio”. Una situazione che “al di là del contagio dell’operatore, peraltro rimasto ignoto, rende di fatto impossibile ricostruire la catena di contagi all’interno della struttura, necessario presupposto per valutare eventuali profili di responsabilità”. E, inoltre, la Cassazione si era già pronunciata, il 4 marzo 2021, su un caso simile, sostenendo che “non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione in quanto con la locuzione ‘mediante la diffusione di germi patogeni’, richiede una condotta commissiva a forma vincolata”. E in ultimo “non ci sono elementi concreti”. Ma i figli non si arrendono: “Ci sono pochi giorni a disposizione per presentare un’opposizione alla richiesta di archiviazione, ma servono altri elementi. Per esempio, conoscere tutti i nomi dei lavorati, all’epoca, in servizio nella struttura comunale. Voglio e vogliamo giustizia per nostro padre. Chiunque possa fornirci delle informazioni utili scriva pure a [email protected]“.









