di Alessandro Zorco
“Oggi mi ordino un tramezzino”, dice Robi, impiegata in un’agenzia regionale al marito, che la accompagna in ufficio di mattina. Giuseppe, sindacalista del settore pubblico, si è portato invece una gavetta con la pastasciutta al sugo cucinata dalla moglie il giorno prima. Mentre Rossella, che lavora in una ditta privata dell’hinterland, farà una capatina velocissima alla mensa di Elmas per un primo e un’insalata volante. Si ingrossa sempre più a Cagliari l’esercito della pausa pranzo. Migliaia di lavoratori che, avendo pochissimo tempo a disposizione, per cinque giorni alla settimana sono costretti a rinunciare a tornare a casa per mangiare. Lavoratori subordinati o autonomi, dipendenti privati ma soprattutto impiegati pubblici. Molti dei quali hanno a disposizione il buono pasto fornito dall’azienda, ma in tempi di crisi come questi preferiscono usarlo al supermarket per fare la spesa.Nel periodo freddo, soprattutto in questi giorni grigi di pioggia, allo scoccare delle 13 negli uffici pubblici cagliaritani scatta il coprifuoco. Alcuni dipendenti fanno la fila in portineria per prendere il cibo ordinato nel fast food vicino. La maggior parte delle volte si tratta di panini e tramezzini, qualche volta ci scappa anche un primo piatto caldo. Altri, che si sono portati il cibo da casa, iniziano subito a scartare i loro fagottini incellofanati o di carta argentata. Mangiano nella loro stanza, con la porta rigorosamente chiusa, per consumare il pasto frugale prima che finisca la velocissima pausa pranzo. Nelle stanze più grandi si mangia in gruppo e si mettono in comune i cibi precucinati portati da casa, come se si fosse ad una gita scolastica. Addentando il tramezzino o gustando le polpette al sugo, le impiegate pensano con malcelata soddisfazione al loro coniuge disperato che a casa, incapace di cuocere anche un uovo fritto in assenza della moglie, dovrà trovare uno stratagemma per sfamare se stesso e i figli.Poi, allo scoccare dei tre quarti d’ora canonici, gli uffici tornano come prima. Le gavette e i contenitori di plastica vengono riposti nelle buste, i fazzoletti di carta buttati nei cestini. Resta, persistente, soltanto l’odore di cibo appena consumato che può andare dal sugo di pomodoro al cavolo stufato. Dal fritto della cotoletta all’agro dell’arancio sbucciato alla bella e meglio. Solo nelle giornate primaverili, quando la temperatura inizia ad essere più mite, per i lavoratori cagliaritani la pausa pranzo diventa l’occasione per una piacevole e rilassante passeggiata al sole. Magari ai chioschetti del Poetto, sperando che resistano.L’esercito della pausa pranzo: l’ennesimo segno della modernità e della disumanizzazione della vita e del lavoro (fortunato chi ce l’ha, ovviamente) che ci sta portando a sacrificare anche gli unici momenti in cui la famiglia può stare riunita attorno ad un tavolo e i genitori possono provare a stabilire un contatto con i figli. Buon tramezzino a tutti.











