Saranno tra le attività commerciali a riaprire non certamente per prime, quando sarà possibile allentare le restrizioni legate all’emergenza Coronavirus. I bar, chiusi ormai da un mese, sono tra le realtà produttive più colpite dalla crisi, almeno stando agli sos lanciati da tanti baristi. Bonus e prestito? Sono soldi, guai a sputarci sopra in tempi di magra: tuttavia, nel primo caso si tratta di una tantum di seicento euro e, nel secondo, bisognerà poi restituire tutto. E la disperazione dei titolari delle caffetterie è quasi alle stelle. Francesca Sedda, 36 anni, è titolare di un bar in via Turati a Quartu e ne gestisce un altro in viale Marconi: “Sei dipendenti in cassa integrazione e incassi già crollati del novanta per cento da fine febbraio. Mi sto consultando con il commercialista per capire se mi convenga chiedere il prestito”, spiega la Sedda, “alla fine si tratterebbe di un altro debito, come quelli del passato. Non sono state certo bloccate bollette e affitti, uno dei miei locali l’ho aperto da un anno e mezzo sono ancora nella fase di ammortamento delle spese. I seicento euro di bonus non mi bastano nemmeno per pagare la bolletta della luce di marzo”.
A poche centinaia di metri di distanza c’è un altro bar, gestito da Giorgia Dessì, 31 anni: “Il prestito del Governo? Se lo chiederò, poi, mi batterò per non doverlo restituire”, dice, nemmeno troppo ironicamente, l’imprenditrice, “devo rientrare nelle spese avute da quando sono chiusa. 2250 euro di affitto mensile, 1900 euro per l’assicurazione dell’automobile, e il Governo non ha mica sospeso gli affitti o dato dei bonus. Non hanno nemmeno eliminato gli F24”, nota la Dessì, “non tollero il dover chiedere un prestito per un danno, il Coronavirus, che ovviamente non è stato causato da me. Non mi sono mai indebitata in tanti anni di attività, perchè mai dovrei farlo proprio ora che il mio bar è chiuso?”.












