“Vere e proprie baby gang non si sono ancora formate ma presto le troveremo radicate nel territorio se il dottor Truzzu e gli altri sindaci della città metropolitana di Cagliari non seguiranno le indicazioni metodologiche che ho riportato nella Carta di Piazza Yenne e poi aggiornato, insieme ad altri colleghi, con il report di ricerca sulle subculture giovanili”. E’ quanto afferma Luca Pisano, psicologo psicoterapeuta e direttore dell’osservatorio Cybercrime Sardegna che descrive i comportamenti dei gruppi di giovani dei rioni “in” della città.
“Hanno tra i 13 e i 15 anni e si vantano sulle storie di Instagram (ma non solo) di fare parte della pseudo baby gang di Genneruxi. Cresciuti con videogiochi Pegi 18 come Gta 5 e Call of Duty, e soprattutto con serie Tv che inneggiano alle trasgressioni (Narcos, Gomorra, Suburra, etc), riproducono nella realtà quanto hanno vissuto e sperimentato nel virtuale: alcool, droghe, spaccio ma anche e soprattutto derisioni, risse e devastazioni di luoghi pubblici. Dopo l’iniziale avvio di carriera caratterizzato dal prendere in giro chi è “diverso” perché più debole e vulnerabile, si vantano ora di compiere atti vandalici e di picchiare coetanei, adulti e anziani anche con tirapugni. Sono il 2.0 del bullismo, l’evoluzione naturale di una devianza non più controllata dagli adulti che li porta, come nei videogame, verso il successivo livello di difficoltà: la formazione della baby gang.
Provenienti da contesti in cui l’estrazione sociale è medio alta”, aggiunge l’esperto, “rappresentano sostanzialmente l’incarnazione di quei comportamenti devianti promossi da youtuber, streamer, videogame, serie tv, musica rap, trap e raggaeton, che nel loro insieme costituiscono una vera e propria subcultura digitale. Una struttura della modernità (Foucault, 1963) in cui i giovani sono inseriti e che tende a oggettivare pensieri e comportamenti, dissolvendo in molti casi la soggettività. Subcultura che trasmette, nella sua versione deviante, un messaggio ridondante: trasgressioni e discontrollo delle emozioni sono la normalità mentre legalità e giustizia rappresentano la devianza.
Pertanto”, conclude, “non sono solamente il risultato dell’inadeguatezza dei genitori. Infatti, un importante mito da sfatare è che la famiglia sia l’unica o la più importante causa dei comportamenti trasgressivi manifestati dai giovani. Non è cosi. Non solamente perché l’approccio epistemologico moderno, il modello multifattoriale probabilistico, focalizza l’attenzione sull’interazione tra fattori di rischio e protettivi rifiutando di rintracciare in una o più cause la spiegazione dei fenomeni sociali, ma soprattutto perché dal 2010 si è aperto un nuovo fronte di pericoli e risorse che concorre alla comprensione dei comportamenti devianti. Con l’esplosione della tecnologia digitale – basta ricordare che sino al 2009 non esisteva neanche WhatsApp – e la possibilità di rimanere sempre connessi, numerose aziende hanno sviluppato migliaia di applicazioni per gestire social network, messaggistica e live. Un nuovo mondo di stimoli digitali, spesso sconosciuto ai genitori, che accompagna il percorso di crescita degli adolescenti, i più giovani della Generazione Z, e che influenza il loro modo di pensare e sentire la realtà.
Si tratta dunque di un problema soprattutto sociale – non solamente familiare – rispetto al quale i politici che amministrano la città metropolitana devono fare uno sforzo: smettere di dare la colpa ai genitori e alla pandemia, cessare di ripetere, al fine di normalizzare la gravità, che è un problema presente in tutte le grandi città, e imparare a collaborare con chi (Osservatorio Cybercrime Sardegna, IARES Acli, Lions Club,) da anni studia il problema e offre soluzioni scientifiche”.










