di Giulio Neri
Quasi tre miliardi di iscritti a Facebook, Internet e il digitale imperversano. C’è una fenomenologia del quotidiano a testimoniarlo: gente in strada che brancola con lo smartphone in mano, e i cosiddetti leoni da tastiera, spesso giovanissimi, rintanati in casa. La Rete è invasa da selfie ripetitivi e sguardi hollywoodiani; la profezia di Andy Wharol, sui quindici minuti di celebrità, appare forzata ogni giorno di più tra blog autoreferenziali e post compulsivi. I quarantenni certificano la propria esistenza mettendo in piazza beghe matrimoniali, trovate culinarie o malumori calcistici; i ragazzi sprofondano nel deepweb, si rifugiano nell’anonimato, negli pseudonimi illusori, in una chattante ritirata di massa. Al di là di qualsiasi snobismo, una realtà depotenziata (e disimpegnata) che allarma.
Se a dominare è un immediato di prodezze casalinghe, e la condivisione si limita al mero esibizionismo, il senso della partecipazione e della Storia risultano schiacciati o, peggio, nulli. Tutti, chi più chi meno, avanzano dubbi su questa nevrosi dell’online, in particolare sulla piega oziosa che ha preso nella generazione dei post-millennials, con adolescenti disadattati, in pantofole dalla mattina alla sera, avviati a un angoscioso futuro di passività e deperimento autoerotico (tout-court).
Eppure, in Lettera a un giovane sardo sempre connesso, Bachisio Bandinu invita a considerare questi mutamenti sociali con più equilibrio, evitando giudizi liquidatori che trascurano cause e disconoscono responsabilità. Il suo libro, edito da Domus de Janas, si articola in due parti: la prima statistica, incentrata su un campione di oltre cinquemila studenti sardi; la seconda speculativa, in cui la complessità dell’argomento è affrontata senza abbandonarsi al pessimismo degli «apocalittici» né all’euforia degli «integrati».
La frequenza di accesso e il rapporto con la virtualità, il potenziale comunicativo e identitario, lo sconfinamento in “luoghi” d’incontro multiculturali e democratici: sono questi i temi fondamentali della lettera di Bandinu. Rivolta, sì, alla gioventù; ma inviata per conoscenza a padri, madri, educatori – sollecitati a un maggiore impegno nell’adeguarsi ai tempi, giacché «la pretesa di un discorso organico e strutturato non risponde più alle esigenze in una società coinvolta in un processo accelerato di cambiamento e di forte innovazione. E ovviamente non risponde neppure alla identità liquida e plurale di giovani chiamati a duttilità e adattamenti».
Si ipotizza una scuola digitalizzata, tesa a valorizzare i nuovi linguaggi, ma anche a impedirne la deriva conformistica di emoticons e appiattimenti lessicali. Si prospetta una figura guida che aiuti a vagliare informazioni e promuova creatività, spirito critico e indipendenza. Rispetto alla riottosità degli adolescenti, che perlopiù minimizzano o negano i pericoli di una navigazione consumistica e, di fatto, eterodiretta, Bandinu auspica stimoli formali più consapevoli dei radicali cambiamenti intervenuti con la tecnologia. È questa la strada, anzi la rotta, per un’esperienza del web che non si risolva in panem et circenses, ma che produca arricchimento, crescita, scoperta.












