Quando si dice «fare il processo alle intenzioni» ossia giudicare qualcuno in base a ciò che si ritiene intendesse fare e non a ciò che ha realmente fatto, ci ricordiamo non solo dei tempi della Santa Inquisizione, ma anche a fatti di cronaca che sovente ritroviamo sui giornali, perché a volte la macchina della Giustizia arriva livelli di irragionevolezza tale da superare quelli della fantasia. Ciò solo perché alcune norme consentono delle forzature che, lungi dal rivelarsi effettivamente protettive di alcuni beni giuridici, alla fine si dimostrano lesive delle garanzie costituzionali e fondamentali della persona che poi viene sottoposta ad un procedimento investigativo ed infine, addirittura, ad un assurdo processo. Ma, addirittura, ritrovarsi indagato e processato per alcuni sogni è a dir poco incredibile. Ecco perché oggi lo “Sportello dei Diritti”, si occupa di un caso tanto sorprendente quanto pericoloso per le conseguenze che può avere il giustizialismo quando un clima da caccia alle streghe prende il sopravvento per una superficiale ed erronea valutazione delle prove ed utilizzo degli strumenti d’indagine. E la storia non è frutto della fantasia di uno sceneggiatore buontempone, ma è apparsa su alcuni giornali della vicina Svizzera che ne hanno dato un certo risalto. Un cinquantenne è, infatti, comparso giovedì davanti al Tribunale distrettuale di Winterthur a seguito dell’epilogo di un brutto caso di divorzio. Dopo la separazione dalla moglie avvenuta cinque anni prima, la situazione è andata peggiorando: il mantenimento non era stato definito in maniera chiara, la donna non aveva voluto lasciare la casa coniugale ed i figli non gli rivolgevano la parola. L’uomo, aveva quindi patito gravemente l’evolversi in peggio della situazione tanto che aveva subito ripercussioni psicologiche, che probabilmente lo avevano portato a fare “strani sogni” in cui si rivedeva nell’assassinare la sua ex moglie. Aveva, quindi, deciso di parlarne al suo psicologo, che poco dopo aveva deciso di denunciare queste confessioni alle autorità. Fatto che è stato ritenuto sufficiente per deferirlo innanzi ad un tribunale distrettuale. Davanti al giudice l’uomo ha spiegato di non avere mai avuto intenzione né di minacciare né tantomeno di uccidere la ex moglie. Ha anche confessato di essere rimasto «totalmente sorpreso» quando ha saputo che era stato il suo psicoterapeuta a rivolgersi alla polizia: «Ero convinto di essere tutelato dal segreto professionale». Dal canto suo il medico ha spiegato di avere temuto che il 50enne avrebbe presto agito fisicamente nei confronti della ex moglie, ma ha anche ammesso che «qualche seduta in più sarebbe forse stata più utile di una denuncia». L’epilogo, rileva Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, è stato felice per entrambi gli ex coniugi, perché alla moglie non risulta essere stato toccato un capello ed alla fine il giudice ha assolto il 50enne: sognare un omicidio non costituisce una reale minaccia. Ovviamente, è giusto preoccuparsi per il pericolo di qualsiasi tipo di violenza ed anche indagare chi questa violenza potrebbe farla, ma è anche necessario che non si forzino le procedure investigative e gli strumenti della procedura penale fino ad arrivare ad un processo un cittadino addirittura per un sogno.