Quando arrivò a Cagliari per un evento elettorale, una decina di anni fa, scese nella hall dell’albergo che lo ospitava con Dudù, il suo adorato e altrettanto noto barboncino bianco, in braccio. Come se fosse la cosa più normale del mondo, presentarsi alla stampa con un cagnolino in braccio, durante una campagna elettorale. Perfettamente a suo agio, strinse la mano a ognuno dei cronisti che lo attendevano, scambiando con ciascuno una battuta, sempre cordiale e disponibile, per poi sciogliersi nel profluvio di politica con cui imbambolava i suoi seguaci. Era simpatico, Berlusconi, impossibile sapere se per scelta o strategia, e si infastidiva se qualcuno della sua scorta lo teneva troppo distante dalla gente. Gli piaceva stare nella folla, gli piaceva piacere, essere osannato da chi aveva scelto di credere alla sua promessa di trasformare l’Italia quando, nel 1994, annunciò la discesa in campo con Forza Italia. Quattro volte presidente del consiglio, due mogli, 5 figli, sedici nipoti, chiacchieratissimo per la sua passione per le donne, anche molto giovani, come le sue ultime due fidanzate.
Amatissimo da tanti, odiatissimo da altrettanti, Berlusconi porta via con sé un pezzo di Italia intera: la sua scomparsa segna davvero uno spartiacque nel Paese, e non solo nella politica, dove è già partita l’inutile corsa alla successione. Inutile perché la verità è che lui di eredi politici non ne voleva. Forse Forza Italia rinascerà sotto una qualche altra forma, ma di sicuro non sopravviverà uguale a sé stessa, perché Forza Italia è Berlusconi: impossibile fare carriera nel partito, se non con piccoli contentini fatti di inutili coordinamenti territoriali, che tanto poi decideva sempre lui. I nani e le ballerine di cui era (e si era) inevitabilmente circondato, in queste ore sperano e tentano di guadagnare ognuno qualche gradino della lunghissima scala da percorrere per arrivare al potere, quello vero, sapendo bene che la fatica sarà quasi certamente inutile.
Imprenditore visionario, protagonista di decine di processi, sotto attacco per le notti brave del bunga bunga: su Silvio uno, nessuno, centomila è polemica anche da morto. Per i funerali di Stato e per il lutto nazionale, per il rito funebre in Duomo a Milano e per lo stop di sette giorni alle votazioni in parlamento, per le lacrime al parlamento europeo e per tutto il circo mediatico messo su in queste ore, ininterrotto, bulimico, beatificatorio come sempre accade con i morti. La sua missione, quella che è stata la missione di una vita, è compiuta anche da morto: essere il protagonista di polemiche, dibattiti, animare contrasti e alimentare dissidi. Perché, dice chi lo ha conosciuto bene, o lo si odiava o lo si amava, destino comune peraltro tutte le persone che sono oltre la banalità dell’ordinario.
Di sicuro, s’illude – e molto – chi pensa che la sua morte non avrà contraccolpi sul governo. Lui, che ha inventato il centrodestra, in qualche modo teneva le fila e garantiva l’equilibrio che ora sarà difficile mantenere, con una premier a destra e un vicepremier leghista, e va da sé che nessuno dei due potrà esserne l’erede. Poi c’è Renzi. Ed è lui, secondo i bookmakers della politica, che passerà alla raccolta di tutto quello che ha seminato in questi anni. Come gli eredi, a cui lascia l’incredibile somma di 4 miliardi di euro.












