Un anello stretto al dito, un dito gonfio dopo un morso, un rischio concreto di amputazione. Ma al pronto soccorso, anziché trovare sollievo, Claudia racconta di aver vissuto un incubo: tre ore d’attesa tra febbre e dolori lancinanti, strumenti assenti, battute sarcastiche del personale e un intervento improvvisato in corridoio con pinze sbagliate. “Non si può trattare così una persona”, denuncia. Claudia, racconta così la notte vissuta tra il 9 e il 10 giugno all’ospedale di Is Mirrionis. Il problema era iniziato il giorno prima, in casa.
“L’episodio è successo ieri – spiega –. Il giorno precedente, mentre preparavo la cena per i miei figli, il mio cane mi ha morso il dito. Avevo un anello che, purtroppo, non ho pensato di togliere. Il mattino dopo, il dito si è gonfiato in modo preoccupante”. Alle 20 Claudia si reca al presidio di guardia medica della cittadina in cui risiede. “Lì mi hanno accolto con grande gentilezza e umanità. La dottoressa, molto preoccupata, mi ha detto chiaramente che dovevo andare subito al pronto soccorso, perché rischiavo seriamente di perdere il dito. Mi ha consegnato un foglio con l’invio urgente”. All’arrivo in ospedale, inizia un’attesa che definisce interminabile: “Ho fatto il triage, ma sono rimasta in attesa per tre ore, con febbre e dolori insopportabili. Mi hanno chiamato a mezzanotte. Chi di dovere, anziché visitarmi con serietà, mi ha accolta con sarcasmo: ‘Ecco qui vi affido il genio, perché non si è tolta l’anello prima?’”. Inizia così un intervento improvvisato e doloroso. “Mi hanno lasciata in piedi in corridoio, cercando di rimuovere l’anello con pinze inadatte, senza alcun tipo di anestesia. Intanto, parlando tra loro, ho sentito che un episodio simile era successo dieci giorni prima, ma anche allora mancava lo strumento adatto. Avevano dovuto farselo prestare dai volontari del 118. Dicevano che lo strumento era stato ordinato ma che non era ancora arrivato”. Nel frattempo, il tono – racconta Claudia – rimaneva derisorio: “Ridevano mentre provavano a tagliare l’anello. Io piangevo dal dolore, li pregavo di stare attenti, ma continuavano a dirmi che il dito sarebbe stato da tagliare, e se la ridevano. Infine, mi è stato detto: ‘Vada in un’oreficeria, qui non possiamo fare niente’. Questo è andato avanti per circa un’ora, mi hanno letteralmente massacrato il dito”. Claudia, esausta e sotto shock, lascia l’ospedale senza nemmeno prendere il foglio di dimissioni. “Sono tornata a casa con mio marito e i miei figli alle tre del mattino. Non ho mai provato un’umiliazione simile. Ho risolto da sola, comprando delle tronchesine. Se avessi aspettato, il mio dito sarebbe andato in cancrena”. Chiude con un appello: “Chi ha fatto il triage sapeva benissimo che non avevano gli strumenti per intervenire. Perché trattare così una persona? Perché non mandarmi altrove?Nei casi di aggressione al personale – che non giustifico – ci si dovrebbe anche chiedere da dove nasce tanta rabbia. Un po’ di rispetto per chi soffre, lo meritiamo tutti”, conclude.










