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Home cultura

Sbarca nell’Isola “L’Origine del Mondo/ ritratto di un interno”

di Ignazia Melis
22 Giugno 2017
in cultura

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Viaggio nella psiche, tra moderne inquietudini e l’ombra del male di vivere, con “L’Origine del Mondo / ritratto di un interno” di Lucia Calamaro (che firma anche la regia) – in scena al Teatro Massimo di Cagliari da mercoledì 28 gennaio fino a domenica 1 febbraio 2015 (tutti i giorni dal mercoledì al sabato alle 20.30 (turni A, B, C e D) e la domenica alle 19 per il Turno E) per la stagione 2014-15 de “La Grande Prosa al Teatro Massimo” organizzata dal CeDAC, che risponde (come l’intero Circuito Teatrale Regionale Sardo) allo slogan di sapore pirandelliano “Giù la Maschera!”.

Sotto i riflettori tre attrici – Daria Deflorian, Federica Santoro e Daniela Piperno – incarnano una genealogia al femminile in cui più delle differenze generazionali emergono le note caratteriali e le affinità e discordanze tra i singoli personaggi, in un’indagine a tutto campo sulla natura umana. 
(Disegno luci di Gianni Staropoli, realizzazione scenica di Marina Haas; aiuto regista Francesca Blancato)

L’intrigante pièce – vincitrice di Tre Premi Ubu nel 2012 (per il miglior testo / ricerca drammaturgica a Lucia Calamaro; per laMiglior attrice a Daria Deflorian e (ex aequo) miglior attrice non protagonista a Federica Santoro) affronta temi cruciali come il significato dell’esistenza e il rapporto genitori figli, in un racconto per quadri, suddiviso in tre atti dal titolo significativo, ed evocativo, come “Donna melanconica al frigorifero”, “Certe domeniche in pigiama” e “Il silenzio dell’analista”.

“L’Origine del Mondo / ritratto di un interno” nasce da un’intima necessità di interrogarsi sulla condizione umana, nelle sue diverse sfaccettature, partendo dalla relazione fondamentale con la figura materna, sorgente della vita ma a sua volta creatura fragile e vulnerabile: un rapporto duale, che scaturisce dall’iniziale fusione e poi scissione di due esseri, e si trasforma in una dialettica complessa, in un sottile gioco di equilibri intorno a cui si strutturano le reti familiari e sociali.

Sull’enigma della nascita e il dilemma della separazione – ma anche sulle forme mutevoli e le dinamiche, a tratti capovolte, di un’inevitabile simbiosi, di un reciproco riconoscimento – si sviluppa un’intrigante narrazione per brevi flash, dialoghi svelanti che trasportano sul palco, nella sintesi folgorante del linguaggio teatrale, la realtà del quotidiano come specchio degli stati d’animo, dei pensieri e delle emozioni tradotte in azioni, in una grammatica semplice ed efficace di gesti e sguardi, silenzi e parole.

Dietro la superficie rassicurante di una (quasi) normalità s’intuiscono le correnti sotterranee, il dolore e l’insensatezza, quel che ci fa esseri irrazionali, perfettamente (in)felici e assolutamente (im)prevedibili perfino per noi stessi: la bellezza e la forza della drammaturgia sta nel rendere comprensibile e condivisibile l’allegria sull’orlo delle lacrime, e la malinconia dietro il sorriso, nell’offrire un’immagine speculare del mondo in cui sia  possibile ritrovare frammenti di sé.

L’arte della finzione mette a nudo la verità: “L’Origine del Mondo / ritratto di un interno” mostra o meglio lascia intravedere, per brevi sequenze, un intero microcosmo che ruota intorno al fuoco centrale di un (in)interrotto dialogo tra madre e figlia: una costellazione familiare – con analista – in cui ciascuna figura acquista un valore simbolico, svolge un ruolo apparentemente casuale ma necessario nello svolgimento di una trama soprattutto interiore.

Fotografia – divertente e struggente – dell’Italia e dell’Occidente nel terzo millennio, la pièce di Lucia Calamaro riporta l’attenzione su una civiltà dominata dalle intuizioni della psicanalisi, in cui le crisi individuali si risolvono semplicemente delegandole alla dimensione della diagnosi e cura, la sofferenza è un segreto impronunciabile, la famiglia stessa un’entità ambigua, disaggregata e disaggregante, portatrice di valori contraddittori e di conflitti. Le ferite invisibili sull’anima non debbono trasparire all’esterno, ma al più restano confinate tra quattro mura, o meglio ancora nei territori della mente e del cuore: perfino in un’intima conversazione tra amiche, o tra madre e figlia, non tutto può né deve venire alla luce; vi sono argomenti, e aspetti dell’esistenza che sfuggono al controllo della parte razionale, come tabù non dichiarati. Impulsi e sentimenti inconfessabili, e comunque non traducibili in parole, che affiorano, se e quando accade, solo involontariamente, per errore o per una sorta di distrazione della coscienza.

Il teatro riproduce la realtà, svelando a un tempo la verità nascosta oltre le apparenze, dietro l’obbligatoria maschera della felicità e della sicurezza di sé che non ammette turbamenti e indecisioni, nessuna debolezza o paura nella quotidiana lotta per la sopravvivenza, o per l’affermazione professionale, così come non sono previste variazioni su una partitura già scritta, nell’interpretazione di un ruolo, come nello svolgimento di una funzione in seno alla famiglia.

“L’Origine del Mondo / ritratto di un interno” narra come le dinamiche e gli equilibri di una relazione madre e figlia, come di ogni legame d’affetto, e non solo, possano trasformarsi e perfino capovolgersi; e come il compito di accogliere e proteggere, consolare e curare non appartenga in esclusiva alla figura materna; e infine come le possibilità e le espressioni dell’amore e del perdono, siano, paradossalmente ma non troppo, e da sempre, universali.

INCONTRO CON GLI ARTISTI venerdì 30 gennaio alle 17.30 – per la rassegna Oltre la Scena/ gli attori raccontano… – l’autrice e regista Lucia Calamaro e le attrici Daria Deflorian, Federica Santoro e Daniela Piperno – insieme alla giornalista Roberta Sanna – incontreranno il pubblico alla MeM / Mediateca del Mediterraneo in via Mameli a Cagliariper parlare dello spettacolo e dell’arte della recitazione, delle forme e linguaggi della drammaturgia contemporanea e della dialettica fra teatro e società (e arte e vita). – INGRESSO LIBERO (fino ad esaurimento posti)

 

 Biglietti:

primo settore: intero € 32 – ridotto € 25
secondo settore: intero € 27 – ridotto € 20
loggione: intero € 15 – ridotto € 10

biglietto studenti universitari: 6 euro (con tagliando ERSU)
*biglietto speciale per gli abbonati del Teatro Stabile della Sardegna: 15 euro

 

La biglietteria del Teatro Massimo (ingresso in via De Magistris 12) sarà aperta nelle sere di spettacolo a partire dalle 17. INFO: cell. +39 345.4894565 –[email protected]

 

durata: tre ore e mezza con due intervalli di 15 minuti ciascuno

Lo spettacolo

Di fronte al tempo, alle crisi alle mutazioni esistenziali

Magari sotto pressione, impotente, spesso isolato

Comunque inadeguato al rapporto ma lo stesso presente.

Decisamente depresso e si vede, uno fa fatica però vive, trova strategie, si inventa.

Si tratta di reagire.

O al meglio: adattarsi.

Come si sta di fronte alle cose, quando peggio del rapporto con Uno, c’è solo il rapporto con gli Altri?

Lo sappiamo? Lo possiamo sapere? Esiste un IO generico guida?

Non so. Non mi pare. Da qui non mi azzardo alla teoria.

Passiamo allora allo studio di un caso.

Daria non esce più. Da qui, dalla tana, constata che lei di umano ne conosce veramente solo uno, convivono nello stesso corpo, e a volte si distrae anche da lui. Se lo perde, non lo capisce.

Questa relazione fluttuante e disattenta spesso fa si che si ritrovi a non essere contemporanea neanche di se stessa.

Un convivente, anche lui suo malgrado familiarizzato con l’umano di Daria, visto che ne dipende affettivamente, la richiama a lei e al tempo: la Figlia.

È lei che mantiene il mondo. Lei, Federica, è il suo Atlante domestico.

Tanto che a volte uno si chiede chi ha messo al mondo chi, in questa faccenda.

Nella casa in cui si muove con sua figlia, temporaneamente rinchiuse in cerca di un senso ritrovato, appaiono figure della soglia, abitanti del dentro-fuori, che irrompono e agiscono. Figure queste, tutte animate dalla stessa volontà: tirarla fuori. Si avvicendano su scena strappandole alla loro intimità duettistica l’analista, sua madre, la cameriera, suo marito. Gente che sta più fuori che dentro, ma a volte anche troppo dentro o troppo fuori.

Insomma, ma che ne sanno loro della fatica necessaria a snodare gli intrecci traumatici nascosti nelle geometrie del profondo? Eppure.

Lucia Calamaro

Post-scriptum obbligato sulla natura ciclica di Origine

RITRATTO ACCIDENTALE DI UN INTERNO INFINITO

 

A volte i progetti che intraprendiamo hanno ambizioni tutte loro, indipendenti dalle nostre volontà iniziali; ambizioni che risultano velocemente superiori alle nostre aspettative.

Uno parte, e in generale la fatica è mantenere il movimento, senza che il cuore si fermi.

Questa volta invece ho come la sensazione di aver messo mano a una di quelle forme alimentate da linee forza inesauribili che senza sforzo traggono energia dalla materia-vita stessa. All’occorrenza la vita è la mia, ma come tutti, la incrocio spesso con quella degli altri e allora addirittura la forma si ramifica. I personaggi iniziali, una madre, la Figlia, la nonna, il marito, si alimentano al quotidiano di sfumature di pensiero estrapolate da vicenduzze concrete: dentista, tasse, pioggia, supermercato, conversazioni riportate…

 

In questa faccenda che si è aperta a me, arresa a una forma sempre aperta e flessibile, c’è come un eco del moto indefinito e a oggi inesauribile dei corpi celesti. Se volessi restarci vent’anni potrei, e poi certo finirebbe con me, con la mia morte, se volessi. Certo è che a oggi non so se voglio o se saprò rimanerci cosi tanto, ma è una vita parallela che si costruisce da sola camminando sulla Scena e sulla quale, andando, trovo addirittura un certo numero di sorprese, allora, almeno per un po’, sarebbe un peccato non restarci.

 

Mi ricordo che tre anni fa, quando ho cominciato a pensare a questo lavoro, il referente fascinoso principale era Balzac, con la sua Commedia Umana.

C’è da dire che dopo anni di isolamento psicologico e sociale profondo, dovuto a fattori diversi e in questo contesto non pertinenti, avevo scoperto gli altri. Tutti gli altri. Chiamiamola pure umanità. Quella che esiste e vive al di fuori della mia testa. C’era, l’avevo vista e volevo parlarne.

Certo, non capivo perché, partendo io dalla chiusura tematica della depressione di una donna, dovessi essere affascinata dall’affresco infinito. Eppure.

 

Non cercandolo, ho trovato un ciclo.

 

Un ciclo, questo di Origine, che io obbligatoriamente costruisco su una vita, quella di una donna, che per certi versi è la mia per altri no. E che si declina in capitoli. Ad oggi ho scritto quasi del tutto i primi quattro, non ho idea di quanti potrebbero essere.

 

La linea traccia iniziale è una crisi individuale che travolge un gruppo familiare, nella fattispecie la crisi di una madre Daria, che fagocita la figlia Federica. Crisi dovuta ad una depressione che si installa, e rende obbligatoria l’esplorazione psicanalitica ma anche drammaturgica-diciamo gestaltica- di dinamiche affettive e familiari. Disfunzionali ma radicate, le dinamiche conosciute chiamano sempre nuovi elementi a illustrare i come e i perché della loro genesi. Per capirle e affievolirle quello che già c’è non basta, c’è bisogno di ripescare cadaveri parlanti, c’è bisogno di incidenti, e di nuovi arrivati. Oltre al coro canonico ed indispensabile di figuranti del dolore composto da madre, marito, fratelli, amici, nonni, cugini persino vicini.

 

Una vita che si inceppa e che sente, nell’impasse obbligata, il bisogno di indagare suo malgrado quel Cominciamento per tutti noi misterioso, attraverso anche una particolare modalità di gestione del Figlio. In fondo la genie è l’unica prova spicciola e familiarissima che ognuno di noi ha della possibilità di essere assoluti demiurghi di un Inizio. E da lì, da quell’atto massimo di vitalità, ritrovare il nostro, di Inizio.

Indago la coscienza di una Madre, quello che lei ne sa, di tutto quello che in fondo lei significa e a cui appartiene, malgrado e aldilà di lei; esploro gli stati d’animo mortificati di una Figlia adultizzata, la sua assenza di modelli, la sua tenacia; tratteggio l’indifferenza, la rabbia e l’impotenza di tutti gli altri, quelli che si ritrovano a gestire una persona depressa, senza sapere come. Intanto, diversamente, ma certo si vive.

 

Mi piace poter dire che ad oggi non so quando questa costellazione di rimandi in interfaccia tra il quotidiano e la psiche, tra madre e figlio, paziente ed analista , nonna e nipote, cameriera e signora, moglie e marito si esaurirà.

 

Volendo e potendo, economie e voglia permettendo, non si chiude praticamente mai.

Va avanti e ritorna in altre vesti per gli stessi luoghi o in altri luoghi con gli stessi abiti ed è lì che di solito arrivano le sorprese: quando toccato di struscio, cadi nell’altrove che non sapevi fosse contiguo al conosciuto.

Come ogni ciclo, Origine innaffia dall’interno i semi del suo sviluppo successivo. Crea, inventa, ricorda, mischia, traveste e riporta. Le briciole si trasformano in capitoli da cui a loro volta si disegnano i resti che porteranno avanti la faccenda che verrà. Un organismo autoorganizzato che a oggi ha bisogno di una sola fonte d’energia: la mia vita quotidiana.

Come non affezionarvisi?

 

In fondo, da cosa è composta la vita di un essere umano: un corpo e i suoi andazzi, una mente e i suoi rovelli, le cose e la necessità di gestirle e poi gli altri, sotto forma di affetti, rivali, problemi, salvezza, ristoro, passione, legami, vantaggi, limiti.

Ecco cosa si occupa idealmente di proiettare drammaturgicamente, forse anno ad anno, per ora pezzo a pezzo, come un puzzle, questo lavoro: una vita.

Ma non l’avevo immaginato così vasto e siccome mi annoio spesso, ecco perché fallisco in generale, è improbabile che io compia l’affresco che il caso mi ha regalato.

 

Qualcuno mi ha detto un giorno che la mia vita gli ricordava Marco dagli Appennini alle Ande e rendeva sintetica anche la più prolissa delle telenovelas brasiliane. Ora capisco di che parlava.

 

Certo è che vissuta sempre in balia di tutto quello che non ero io, non avrei mai pensato, fino ad oggi, che la mia vita si sarebbe trasformata nella mia opera.

Lucia Calamaro

Tags: Cagliariprosateatro massimo
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