È durato pochi giorni l’incubo giudiziario di un 26enne lombardo, giardiniere, improvvisamente coinvolto nell’inchiesta per la morte di Cinzia Pinna, la 33enne di Castelsardo uccisa dal viticoltore gallurese Emanuele Ragnedda. Il giovane era stato indicato dallo stesso Ragnedda come presunto complice nell’occultamento del cadavere, ma è stato poi scagionato quando l’imprenditore ha ammesso le proprie responsabilità. Il ragazzo era stato raggiunto dai carabinieri a casa, sottoposto a sequestro dell’auto e del cellulare e interrogato a lungo e aveva detto di non conoscere Cinzia e di non essere stato in compagnia di Ragnedda l’11 settembre, giorno dell’omicidio. La svolta è arrivata ieri pomeriggio durante l’interrogatorio di Ragnedda, inizialmente ascoltato come persona informata sui fatti. Davanti agli investigatori, l’uomo ha fornito un racconto poco chiaro e contraddittorio, affermando che dopo essere stato con Cinzia si era svegliato e l’aveva trovata morta. Nel tentativo di spostare i sospetti, aveva accusato il 26enne di aver trasportato il corpo e gettato la donna in mare. Dichiarazioni poi smentite durante la confessione completa del delitto.
Intanto, resta il giallo sul movente: perché Emanuele Ragnedda, una vita agiata e un futuro radioso davanti, ha ucciso Cinzia? L’ipotesi al momento più accreditata è che Ragnedda abbia reagito a un rifiuto della ragazza dopo un suo approccio sessuale: l’avrebbe uccisa con un colpo di pistola sul divano di casa e poi trasportata nella sua tenuta.
E’ intanto passata la prima notte in carcere per Ragnedda, 41 anni, produttore vitivinicolo di Arzachena, noto per un Vermentino di lusso venduto fino a 1.800 euro a bottiglia: dopo la confessione è detenuto nel carcere di Nuchis con le accuse di omicidio volontario, aggravato dall’uso di arma da fuoco, e occultamento di cadavere, in attesa dell’udienza di convalida del fermo. In mattinata è previsto il riconoscimento ufficiale della salma da parte della famiglia.













