I talassemici della Sardegna danneggiati da sangue infetto esprimono il loro fermo disappunto relativamente all’ “equo ristoro” stabilito nell’articolo 27-bis della legge 114 dell’11 agosto 2014. L’articolo prevede che, ai danneggiati, venga offerto un obolo come risarcimento del danno subito in seguito a trasfusione con sangue infetto. Il Ministero della Salute ha convocato il 28 ottobre ultimo scorso le principali associazioni dei danneggiati per illustrare le modalità di applicazione della norma. “Un incontro a senso unico in cui a niente sono valse le lamentele della maggior parte dei convocati in merito all’iniquità di questo provvedimento”, spiegano Francesco Secondi, presidente di Thalassemici Sardi, e Ivano Argiolas, presidente di Thalassazione.
“L’importo offerto – continuano i due esponenti delle Onlus – non può in nessun modo essere considerato sufficiente a ristorare i soggetti che hanno contratto una patologia virale così grave e dall’esito incerto e a volte infausto. Lo Stato ne è consapevole, infatti, precedentemente, era stata predisposta una transazione i cui importi erano da quattro a sei volte superiori. Peccato che i criteri per accedere a quella norma fossero volutamente studiati al fine di escludere la maggior parte degli aventi diritto.
Questo iniquo ristoro potrebbe apparire come un gesto magnanimo di un Governo che cerca di fare ammenda rispetto ad un’ingiustizia commessa nei confronti di cittadini lesi e indifesi. Purtroppo la triste verità è che questo famigerato articolo 27-bis nasce dalla paura del giudizio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a cui cittadini italiani hanno dovuto rivolgersi per cercare di ottenere giustizia nei confronti di quello stesso Stato che prima non ha saputo proteggerli, infettandoli, e successivamente non li tutela cercando di negare le proprie responsabilità. Ci sia almeno concesso di urlare il nostro disprezzo verso questo Stato iniquo che cerca di chiudere una pagina orribile della Sanità Italiana approfittando anche del disagio sociale di molte delle famiglie coinvolte, riducendo, per di più, i 14 anni di durata della causa ai 14 giorni di tempo concessi per far pervenire la decisione”.












