Si susseguono le segnalazioni e i racconti di chi si trova in grande difficoltà a causa dei tempi di attesa infiniti della sanità pubblica: E.C., la donna ha chiesto di non pubblicare il nome per proteggere la privacy del padre, ha spiegato nei dettagli l’odissea affrontata due giorni fa al pronto soccorso del policlinico: “Il 9 agosto, alle ore 17, mio padre è stato trasportato in ambulanza poiché necessitava di una trasfusione; era già molto debilitato, anche perché diabetico, è stato registrato alle 18 e visitato alle 5 del mattino, senza mangiare e riposare per tutte quelle ore. È stato ordinato il sangue, alle 10 del mattino, però, eravamo ancora in attesa della sacca dal centro trasfusionale. Ho, allora, chiamato io, direttamente, per sapere se il sangue fosse pronto. Era pronto, non era semplicemente partita la navetta dal policlinico per trasportarlo. Ho fatto presente la situazione e la sacca è arrivata intorno alle 12. Alle 15 del 10 agosto mio papà è stato dimesso. Morale della favola: mio padre, già fortemente debilitato, con una patologia importante, è stato buttato in pronto soccorso per 22 ore in attesa di questa trasfusione. È stata richiesta solo una sacca, tra l’altro, e tra tre giorni noi, sicuramente, saremmo costretti a ripetere questa trafila. Una situazione assurda”. Una segnalazione fotocopia a quelle che giungono pressoché tutti i giorni e che non mirano assolutamente a denigrare l’operato dei medici bensì sono un richiamo all’organizzazione. Non solo: la sala d’attesa è ferma ai tempi del covid, niente mascherine ma gli accompagnatori devono rimanere fuori. Una situazione snervante, “si deve attendere seduti nei gradini o chissà dove e la sala d’attesa è, spesso, vuota o con pochi pazienti”.










