La sua fedina penale non è pulita, nel senso che il percorso riabilitativo che sta facendo è la classica “messa alla prova”, possibilità che la giustizia offre a chi abbia commesso determinati reati. Quello più grave, Gianfranco Gabriele Pinzutti l’ha commesso un anno e mezzo fa, quando era ancora minorenne: “Ho preso a colpi di pala in testa un mio compagno di classe. Oggi so solo che sta bene, in ospedale gli hanno messo una decina di punti. Ho provato a contattarlo ma non ho ricevuto nessuna risposta. I suoi genitori hanno denunciato la scuola e non me, questo è un particolare che è emerso anche in tribunale”. Ma la denuncia, per lui, è partita d’ufficio “dall’ospedale nel quale avevano portato il mio compagno”. Una gioventù difficile, durante la quale Pinzutti si è macchiato di reati ben specifici e regolati, a livello penale, dal tribunale per i minorenni: “Alle medie ho tirato un mappamondo contro un docente, poi ho sferrato un pugno a un altro professore”. Se il suo nome non era finito nelle cronache era, appunto, per la minore età. Oggi, però, a diciotto anni compiuti, ha deciso di esporsi pubblicamente, soprattutto scrivendo un’autobiografia “di un sopravvissuto a se stesso”. Le pagine sono settanta, non tantissime ma è comprensibile, vista la giovane età. “Ho deciso di raccontare, nel libro, tutto il malessere che ho vissuto. Soffro di un disturbo bipolare che sto curando, i medici sono fiduciosi. Ho due genitori e una famiglia d’oro”, premette. In un’email spedita alla nostra redazione il diciottenne pone delle domande-spia, che fanno capire in parte ciò che sostiene di avere vissuto: “Quanti ragazzi ancora devono soffrire come ho sofferto io senza ricevere una mano d’aiuto dalle persone competenti? Quanti ragazzi devono ancora sfogare le loro problematiche nel peggiore dei modi dopo chissà quanti anni in balia di se stessi? Il mio libro, il mio messaggio, non mi aspetto che sia forte e chiaro, lo deve essere, perché io mi sono quasi giocato la vita ma ci sono ragazzi che sono in carcere, che sono morti, che non escono più di casa perché hanno paura di far del male agli altri. Andiamo aiutati, non emarginati”.
Certo, magari bisognerebbe cercare di spiegarlo, sperando in un perdono, alle persone alle quali il diciottenne ha fatto del male: “A loro chiedo scusa. Anzi, non solo a loro ma a tutti quelli rimasti coinvolti”. Oggi, a distanza di tempo, è passato dai banchi dell’Alberghiero a quelli dell’Università: “Sto facendo studi umanistici. Voglio diventare un educatore”. Sembra un paradosso, visto il suo passato: “È vero, però ho fatto mio quanto mi ha detto, da poco, una persona: chi, se non io?”. Solo il tempo potrà dire se si tratti di una scelta felice e valida.













