Il “grande caos” principale è quello che riempie i giornali nelle ultime settimane: febbre, mal di tosse o “naso che cola”. Il genitore tiene a casa il bimbo anche solo un giorno e poi, per poterlo far rientrare a scuola, l’autocertificazione del pediatra è indispensabile. Ma prima bisogna fare il tampone, la segnalazione all’Ats è obbligatoria. Ed è da qui che inizia il “girone infernale” dei pediatri, e quelli cagliaritani non fanno eccezione. Orari sballati, il cellulare che non smette mai di squillare tra una mamma preoccupata perché “da venti giorni attende la chiamata dell’Ats” e un papà che prega in aramaico di poter ottenere “la certificazione, utile anche per poter terminare la quarantena e tornare al lavoro”. Non ci sono solo i medici di famiglia in trincea, nell’autunno caldissimo del Covid. I pediatri sono, praticamente, nella stessa identica situazione. Sono loro stessi a raccontarlo, mettendoci nomi e volti, a Casteddu Online.
Angela Matacena, 67 anni, dal 1990 è una delle pediatre di Cagliari. Ha lo studio a Pirri, in via Italia: “C’è un aumento del carico di lavoro telefonico molto stressante, non faccio in tempo a terminare una chiamata che, subito, ne arriva un’altra. Sto lavorando mattina e sera e non ho più orari. Le richieste più pressanti sono quelle delle segnalazioni dei tamponi. Ho terrore”, confessa, “quando i genitori mi dicono che il loro figlio ha febbre, tosse o moccio. Entro in crisi, per decreto devo segnalare tempestivamente e si entra nel caos. Molti tamponi non vengono fate, le mamme mi richiamano perché vogliono il certificato, ma io sulla base di cosa posso farlo? Ho paura di sbagliare, qualche genitore mi ha insultata e presa a urla al telefono perché, per un po’ di moccio, ho segnalato all’Ats. Non era così, c’erano tutti i sintomi Covid”, spiega la Matacena, “manca la comunicazione tra noi e l’Igiene pubblica, mi tocca rispondere al telefono anche sabato e domenica. Non ho più orari”, rimarca, “sono sempre disponibile ma stressata. Camici e mascherine ci vengono forniti saltuariamente, in parte li ho dovuti acquistare io”.
Non se la passa meglio Annalisa Pischedda, pediatra 63enne di Dolianova: “Sono oberata di lavoro, devo fare tante segnalazioni e, ultimamente, mi rendo conto che non vengono evase. Ho pure segnalazioni di genitori positivi, visto che i loro figli sono a stretto contato chiedo subito il tampone, specificando quale scuola frequenta il bimbo, è importate per il tracciamento”, afferma. “Sono obbligata a segnalare, ci dicono che facciamo troppe segnalazioni ma ce lo impone la legge. Se un genitore è positivo metto in quarantena i bambini e richiedo il tampone. Nel 90 per cento dei casi non viene fatto e allora salta il tracciamento. I bimbi stanno a casa per tanto tempo, in attesa, e questo crea problemi a tutta la famiglia. È una situazione kafkiana”, sottolinea la Pischedda, “per la nostra sicurezza ci vengono dati due camici e due mascherine, ma ha senso se devo cambiarli tutti i giorni? L’Asl me ne ha dato solo una parte, la maggior parte devo pagarmeli di tasca mia se voglio lavorare in sicurezza. Sarebbe meglio avere una sede dove poter visitare i bimbi patologici, nell’ambulatorio arrivano anche loro insieme a quelli sani. Ricevo non meno di 30 chiamate al giorno, prima della pandemia erano la metà”.









