“Mille popoli spazzati via dal genocidio, 180 milioni di morti in 500 anni di storia”

La Casa dinastica del Rio de La Plata lancia l’allarme per le popolazioni indigene del nord e sud America: la mortalità infantile è oggi 5 volte superiore alla media generale


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La scoperta dell’America fu l’inizio della fine per i nativi americani. Fu l’inizio di un massacro che si concluse solo dopo la Prima Guerra Mondiale: oltre 500 anni di guerra durante i quali in nome della colonizzazione vennero uccisi 180 milioni di esseri umani.

«E non morirono solo i nativi, ma anche le loro tradizioni e la loro cultura e venne distrutto per sempre un habitat naturale incontaminato» spiega Viola Lala, press officer della World Organization for International Relations.

Insomma, intere comunità vennero sterminate all’interno dei loro villaggi dagli eserciti regolari, altre morirono perché gli occidentali portarono con sé vaiolo ed altre malattie ed altre ancora morirono di fame dopo la sistematica devastazione di piante ed animali.

«Il genocidio degli indiani —prosegue Viola Lala— venne inoltre accompagnato dalla tratta degli schiavi che venivano costretti a lavorare nelle terre dove prima vivevano i nativi: una macabra geografia dello sterminio e della schiavitù sostenne la nascente industria occidentale».

Ed oggi con il Coronavirus torna l’emergenza: la mortalità infantile tra gli indigeni è di 5 volte superiore alla media generale ed il tasso dei suicidi tra gli adolescenti è di 10 volte superiore alla media. Il 48% degli adulti è inoltre disoccupato ed il 38% è analfabeta.

«Includendo l’intero continente americano la speranza media di vita è di 40 anni contro una media generale di 68 anni» sottolinea Alejandro Gastón Jantus Lordi de Sobremonte, Capo della Casa Dinastica del Rio de la Plata (www.virreinatodelriodelaplata.org), che dal 1989 si batte per i diritti delle popolazioni indigene e delle minoranze svantaggiate.