Si cerca la verità, si cerca un perché, si cerca di ricostruire i tasselli che ancora mancano a un puzzle già completo nella sua drammaticità. Oggi, l’interrogatorio è in corso, i magistrati stanno sentendo Monica Vinci, 52 anni, nel reparto di Psichiatria dell’ospedale di Oristano dove è ricoverata dopo aver ammazzato con 30 coltellate sua figlia Chiara, 13 anni, tenendola ferma con un cavetto di ricarica per telefono stretto al collo. Da ieri è piantonata in ospedale, dove è stata raggiunta da un provvedimento di custodia cautelare in carcere per omicidio volontario aggravato emesso dal giudice per le indagini preliminari Federica Fulgheri su richiesta del sostituto procuratore Valerio Bagattini. In un maldestro tentativo di suicidio dopo l’orrendo delitto, si era lanciata dalla finestra al primo piano della sua camera da letto.
Nel 2015 la donna era stata sottoposta a un tso, un trattamento sanitario obbligatorio per problemi psichici, ma in base agli accertamenti che erano seguiti, era in grado di badare a sua figlia dopo la separazione dal marito Piero, vigile urbano, distrutto dal dolore, che stando a quanto emerso dopo il delitto avrebbe voluto prendere con sé sua figlia. Mancava poco: a marzo Chiara avrebbe compiuto 14 anni e avrebbe potuto scegliere con chi vivere. Uno dei possibili moventi del delitto: Monica Vinci era terrorizzata dall’idea di perdere in un colpo solo figlia, casa e assegno di mantenimento.
Intanto ieri si sono svolti i funerali, con la partecipazione dell’intera città, chiusa in dolore forte e condiviso: tanta commozione, palloncini bianchi e applausi per l’ultimo saluto a una ragazza sfortunata che forse poteva essere salvata.











