Carceri strapiene ma colonie penali semivuote, strutture che sembrano manicomi. Una situazione che non rispetta lo stato di diritto e che non è degna di un paese civile. Questa è la fotografia delle strutture penitenziarie nell’isola. La situazione è stata illustrata dalla garante regionale per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale Irene Testa. Una situazione che rispecchia quella nazionale ma con alcune eccezioni. Il tasso di affollamento a livello nazionale è del 119,3% contro un dato sardo più basso: Cagliari e Uta 107%, Sassari 104%, Tempio 104%, Oristano 88%, Nuoro 50%, Tempio 104%, Massama 53%. Le strutture sono vecchie, fatiscenti, non adatte alla rieducazione del detenuto. Questo nonostante gli oltre 3 miliardi e 500 milioni che si spendono ogni anno a livello nazionale per gestire il comparto.
“Gli istituti di pena in Sardegna sono sovraccarichi di persone malate, questo è il dato che emerge più chiaramente dalle visite ispettive che ho svolto”. Commenta così i dati del dossier sulla situazione delle carceri sarde la garante dei detenuti Irene Testa. “Ci sono alcuni istituti dove il disagio psichiatrico registra quasi l’80%, sono tantissimi gli atti di autolesionismo e i tentati suicidi (96 in totale nel 2023), che grazie alla polizia penitenziaria e spesso ai compagni di cella riescono in qualche modo ad essere sventati”, spiega ancora la garante. Non solo: “Si registra pochissima attività lavorativa e le persone che vivono dentro le celle sono molto spesso tossicodipendenti, con gravi fragilità, persone che non dovrebbero stare in una cella perché non possono essere curati in una cella”, chiarisce Testa. “La polizia penitenziaria non ha né le competenze, né dovrebbe essere il suo ruolo quello di gestire i malati, di doverli accudire, di sventare tutti i tentativi di suicidio – aggiunge -, ci dovrebbe essere prima tutto l’aspetto sanitario di prevenzione”. “Il mondo femminile all’interno delle carceri in generale è un mondo abbandonato a sé stesso, trattandosi di numeri molto bassi, quindi di conseguenza anche le esigenze più elementari non vengono soddisfatte: ci sono detenute che hanno bisogno di indumenti personali, intimi e non c’è un posto dove poter andare ad acquistare”, conclude Testa.