Giorgio Pisano, storica penna dell’Unione Sarda e Maestro del giornalismo sardo, ha riempito per quarant’anni le pagine di cronaca dell’Isola. In questa intervista, delinea la sua visione sul cambiamento del giornalismo con l’avvento dell’online, la difficoltà dei giovani ad accedere alla professione, e racconta alcune delle sue più famose inchieste di cronaca: dall’evasione dell’ergastolano Vallanzasca dal carcere di Bad’e Carros a Nuoro, al piano segreto di evacuazione della Maddalena in caso di esplosione atomica, all’intervista più “noiosa”fatta a Marco Pannella.
Pisano, come vede il giornalismo di oggi nell’era dei giornali online? Quali sono le differenze rispetto a trent’anni fa? Secondo lei il cartaceo può resistere all’avvento di internet?
E’ una partita ancora tutta da giocare, quella fra giornali on line e cartacei. E’ certo che i primi hanno messo in crisi i secondi, ma io resto un uomo del Novecento e sono convinto che il caro vecchio cartaceo non morirà. Le perdite delle copie dei giornali in Sardegna sono molto contenute rispetto alla situazione nazionale. Continuiamo ad essere ancora un’Isola felice, diciamo un “purgatorio vivibile”. Purtroppo, invece, la qualità dei giornali si è abbassata tanto, soprattutto, negli articoli di cronaca si è caduti in un pressapochismo deprimente. Chi legge un quotidiano cartaceo o su un tablet dovrebbe leggere storie corrette, verificate. Il giornalismo segue regole precise che vanno rispettate. Spesso mancano anche le basilari 5W.
Che consiglio darebbe a un giovane che oggi sogna di fare il giornalista? E’ ancora possibile l’accesso a questa bellissima professione, e come?
E’ troppo facile dalla mia posizione di giornalista in pensione parlare, dare consigli del tipo “tenete duro”. La situazione oggi è disperata. Io ho fatto questo lavoro perché l’amavo, figlio di un sarto non avevo padrini, sono entrato nella redazione dell’Unione e mi sono fatto da solo: questo lavoro mi ha consentito di arricchirmi, viaggiare, conoscere: dal Papa, all’ultima “battona”. Ma allora i contratti si facevano, erano altri tempi. Purtroppo per un giovane che intraprende oggi questa professione, la situazione è desolante: vi è una riduzione quasi in schiavitù. Tutto ciò è mortificante, non stimolante, e non aiuta certo ad essere attenti nella verifica, nella forma e nel contenuto delle notizie. Questa situazione riflette quella nazionale, una condizione di imbarbarimento generale. E i giornali sono lo specchio: riflettono l’immagine della società. Il giornalismo resta, comunque, il mestiere più bello del mondo.
Ci sono giornali come Casteddu Online che stanno investendo sui giovani, con 4 contratti giornalistici negli ultimi 3 mesi, altri invece non ce la fanno. Lei è d’accordo su finanziamenti regionali a queste testate per aiutare l’assunzione di nuovi giornalisti?
Non sono d’accordo nei finanziamenti pubblici per il fatto che rischia di venir meno la libertà di stampa. Sono felice che Castedduonline faccia contratti e rispetti le regole. E’ un giornale che deve inventarsi continuamente, fatto con intelligenza e fatica per trovare nuove storie ogni giorno.
Lei è sempre stato un giornalista che ha difeso gli ultimi: pensa ancora, come disse anni fa, che i giornalisti di oggi siano a metà tra servi e camerieri in nome della pubblicità?
Non ho grande stima della mia categoria. Oggi c’è un gregge fortemente condizionato dalla pubblicità, dai poteri politici, dagli amici degli amici, e i risultati purtroppo si vedono. C’è una mancanza di coraggio allarmante. Una sorta di autocensura. L’esatto opposto del giornalismo.
Cosa pensa della vicenda dell’Untore Blog che vede indagato anche un giornalista cagliaritano? Come si può fermare la diffamazione che corre spesso sul web in maniera incontrollata? Un giornalista può lavorare in maniera anonima?
No, un giornalista non può lavorare in maniera anonima. Rispetto alla vicenda dell’Untore Blog, io sono un garantista, e fino a quando non ci sarà un processo non posso esprimere un giudizio. Posso dire che questo sito ha scoperto l’acqua calda, la storia di diffamare in maniera anonima è vecchia come il mondo. Si tratta ora di dimostrare come sono andate le cose realmente.
In Sardegna potrà mai più nascere un nuovo giornale cartaceo secondo lei? Come possono resistere all’avvento di Internet quelli attuali?
Credo di sì perché sono un ottimista, vedo sempre il bicchiere mezzo pieno. Oggi i giornali cartacei sono in coma farmacologico e sopravvivono con grande difficoltà. Si tratta di rifondarli in maniera totalmente nuova. Personalmente non vedo la contrapposizione fra giornale online e cartaceo. Mi preoccupa quando non vi è autorevolezza, quando non si ha la capacità di raccontare i fatti, quando il giornale è fatto con pressapochismo. Lo chiamo, in maniera volgare: giornalismo da bidet.
Lei sull’Unione Sarda ha realizzato tante belle interviste: qual è quella a cui è più affezionato? Quale il servizio che ricorda con più emozione?
In quarant’anni di storie ne ho raccontate tante, non so dirle una in particolare. Ricordo con piacere un servizio fatto negli anni’80, in cui scoprii il piano segreto per l’evacuazione della Maddalena in caso di incidente atomico, quando allora c’era la base Nato. Fu un bel servizio. O quando venni a conoscenza, per primo, del piano di evasione dal carcere di Bad’e Carros di Renato Vallanzasca. Fra le interviste più emozionanti sicuramente quella fatta a Fabrizio De Andrè, poco dopo la sua liberazione. Per rimanere in tema di sequestri, l’intervista esclusiva a Soffiantini, il quale poi mi diede una lettera scritta ai sardi che pubblicai sull’Unione Sarda.
L’intervista “peggiore”?
Sicuramente la più noiosa, quella fatta a Marco Pannella. Non solo pretendeva che le sue risposte venissero riportate con precisione assoluta, voleva che fossero usate le sue parole esatte, cancellando in questo modo totalmente la funzione del giornalista. Un caso di egotismo patologico. Sì, senza dubbio l’intervista peggiore che io ricordi.
Cosa pensa dell’assassinio di Fausto Piano, come è stata raccontata secondo lei la vicenda dai giornali?
Penso che al momento non sappiamo nulla. Scopriremo la verità solo tra qualche settimana, o mese, grazie alla curiosità di un giornalista che ci racconterà quanto realmente accaduto.
Quarant’anni di carriera, ha qualche rimpianto? Avrebbe voluto dirigere l’Unione Sarda o un altro giornale?
Bella domanda. No, mi mancano alcuni dei requisiti fondamentali per fare il Direttore. Non sarei mai potuto diventarlo. Se me l’avessero chiesto avrei detto di no. Non perché sono pazzo, ma per la semplice ragione che non ho requisiti psicologici e caratteriali. Mi manca la capacità di saper mediare. La verità è che sono un “maleducato”, fortemente legato alla mia autonomia personale e lavorativa. Non ho mai scritto per commissione, sono stato anche vicedirettore, pentendomene, perché ho dovuto lasciare il lavoro da inviato, quello che amavo fare.













