Senza importantissima della Corte Costituzionale, definita lo scorso 10 ottobre ma resa pubblica solo oggi, che fa cadere il divieto di far prevalere le attenuanti nei casi di omicidi compiuti dalla vittima di maltrattamenti in famiglia. La pronuncia riguarda tre ordinanze della Corte d’assise d’Appello, in un caso quella cagliaritana e riferita al femminicidio di Quartucciu del 2021, quando Paolo Randaccio aveva accoltellato la moglie Angelica Salis. E che si traduce, sicuramente, in un ergastolo pienamente evitato dall’uomo, ma anche in una pena troppo dura perchè avrebbe ucciso la moglie spinto dalla “provocazione, agendo con uno stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui”. Cioè dalle continue vessazioni e minacce da parte della Salis. Nella sentenza si legge chiaramente che la donna “soffriva da circa dieci anni di un grave disturbo bipolare di tipo borderline, cui si aggiungeva, nei mesi precedenti al delitto, un problema di alcolismo. Pur essendo in cura presso un centro di salute mentale, Angelica Salis si rifiutava sovente di assumere la terapia farmacologica che le era stata prescritta e, più volte, nel corso degli anni, aveva cercato di togliersi la vita. L’ultimo intervento delle forze dell’ordine per sventare un suo tentativo di suicidio si era verificato appena venti giorni prima del delitto e, da allora, si erano intensificate le preoccupazioni dei familiari per il suo benessere fisico, oltreché mentale. Lo stato di salute di Angelica Salis si era, infatti, aggravato da quando assumeva sostanze alcoliche e, dopo il fallito suicidio, il costante stato di angoscia, aggressività e tensione in cui versava le impediva di prendere sonno, costringendo anche i familiari, anzitutto il marito, che più si prendeva cura di lei, a non dormire, per il timore di ulteriori gesti autolesionistici”. Vengono riportate anche le testimonianze “dei figli della coppia, del fratello e della sorella della vittima, dei conoscenti e dei vicini di casa”, sentiti nel corso delle indagini. Tutti hanno descritto Paolo Randaccio “come una persona mite, dedita alla cura della moglie nonostante la situazione di gravissimo disagio, a più riprese definita come ‘ingestibile’. Secondo quanto emerge dagli atti processuali, così come ricostruiti dall’ordinanza di rimessione, il giorno dell’omicidio la donna aveva di nuovo aggredito verbalmente il marito, nonché la figlia e i nipotini con lei conviventi, minacciando nuovamente di togliersi la vita. La figlia si era allontanata con i bambini e aveva telefonato a una serie di numeri di emergenza, anche perché si udivano provenire dal piano superiore rumori di mobili rovesciati e suppellettili infrante. In effetti, Angelica Salis aveva preso a lanciare oggetti e a sbattere il tavolino sui mobili del soggiorno, e aveva ordinato al marito di mettere tutti gli oggetti personali della figlia in una busta e di portarli via. Al rifiuto del marito, gli aveva lanciato contro un piatto e, girandosi verso il cassetto dei coltelli, aveva minacciato di ucciderlo. In base alle dichiarazioni dell’imputato, egli si sarebbe a questo punto alzato per cercare di fermarla. L’uomo affermava poi di non ricordare più nulla, sino al momento in cui, vedendo la moglie riversa in una pozza di sangue, aveva telefonato prima alla figlia, confessando l’omicidio e pregandola di non salire al piano di sopra, e poi ai carabinieri”.
La data del prossimo round in tribunale si deve ancora conoscere. L’avvocato cagliaritano Luca Salvatore Pennisi ha partecipato a Roma all’udienza dello scorso dieci ottobre, e collabora con l’altro legale di Randaccio, Andrea Nanni: “Siamo lieti dell’esito della sentenza della Corte Costituzionale, da oggi ogni giudice potrà dare prevalenza alle attenuanti anzichè al fatto compiuto, in questo caso l’uccisione della propria moglie. Con l’accoglimento di quelle che sono state da sempre le nostre richieste sappiamo già, come comunicato in precedenza dal giudice, che Paolo Randaccio non sarà più condannato a ventuno anni di reclusione o a pene più dure, ma a quattordici anni”.












