La mozione per blindare la legislatura Todde e i cinque anni da consigliere regionale di chi è stato eletto arriva domani in consiglio regionale. E l’aula, come già aveva fatto la Todde, sfida i giudici del consiglio di garanzia elettorale della corte d’appello di Cagliari che il 3 gennaio l’ha dichiarata decaduta per irregolarità nelle spese elettorali.
Una mozione, si sa, non si nega a nessuno. Ma questa volta, ovviamente, la posta in gioco è alta e i consiglieri regionali, tutti, non hanno nessuna intenzione di lasciare la quinquennale poltrona conquistata a palazzo: e dunque, anche i consiglieri cavalcano la sfida aperta dalla Todde contro i giudici, accusati di voler manipolare il risultato elettorale di febbraio scorso.
Il concetto centrale della mozione è semplice e ormai noto: la Todde è presidente e solo di conseguenza, di diritto, consigliere regionale, dunque non è sottoposta alle stesse regole di mandatari e rendicontazioni che gravano sui consiglieri regionali. Una tesi audace, perché la Todde è, appunto, il sessantesimo consigliere regionale ma dopo e non prima (come accadeva un tempo quando era l’aula a scegliere il presidente votando uno dei consiglieri regionali).
Dunque, secondo i consiglieri che sottoscrivono la mozione, la disciplina regionale
sulla rendicontazione delle spese elettorali, risalente al 1994, non è più applicabile perché fu pensata per i consiglieri elettivi, categoria della quale faceva parte anche il presidente di regione nella forma di governo a tendenza assembleare vigente allora. O almeno non è applicabile nella parte in cui assegna al collegio di garanzia elettorale il potere di decretarne la decadenza.
Secondo i consiglieri, che hanno ovviamente tutto l’interesse a sostenerlo, decretare la decadenza della presidente e di conseguenza dell’intero consiglio sarebbe un provvedimento abnorme, e in questo modo i giudici interferirebbero nel processo democratico che ha portato al risultato dell’anno scorso.
In sintesi, la mozione chiede alla presidente e alla giunta di presentare un ricorso alla corte costituzionale per conflitto di attribuzioni tra enti, contestando la legittimità della decadenza della governatrice da parte dello Stato, e difendendo così le prerogative politiche e costituzionali degli organi regionali. L’argomentazione principale della maggioranza è che solo la Regione avrebbe la competenza a decidere sulla posizione del presidente, e non lo Stato.