I sindacati replicano alle lamentele dei ristoratori, “non riusciamo a trovare camerieri, c’è chi rifiuta perché ha già il reddito di cittadinanza” puntando sulle “proposte lavorative da schiavitù, tanti giovani sarebbero già in fila per 1600 euro al mese” e i titolari di locali food controreplicano. Giovani poco esperti? Forse, almeno stando all’analisi di Antonio Loddo. Quarantasette anni, da tanto tempo gestisce una steak house a Carbonia, con lui lavorano 4 dipendenti. “Ci sono troppi giovani improvvisati che pensano solo a farsi la giornata. Devi insegnargli a lavorare e stargli dietro, noi abbiamo bisogno di camerieri e non di portapiatti”, afferma. La differenza? “I primi devono far sentire a suo agio il cliente, sorridere e riuscire a vendere i nostri prodotti migliori. Tempo fa ho avuto un maitre molto preparato, riusciva a piazzare il menù con l’aragosta. Il mio locale guadagnava è anche lui, parlava anche cinque lingue e sono riuscito a dargli anche 1500 euro al mese”. Per Loddo il reddito di cittadinanza non c’entra niente: “Per fare ogni lavoro bisogna essere preparati e competenti”.
“Ai miei dipendenti riesco a dare più di mille euro al mese per cinque ore di lavoro al giorno, con un giorno e mezzo libero ogni settimana. Sono con me da 8 anni, sono cresciuti professionalmente. Oggi, invece, ai giovani, ripeto, manca l’esperienza. Se arriva un pizzaiolo che non sa nemmeno stendere ma mi dice di aver fatto un corso o solo una stagione, come posso assumerlo? Perderei solo soldi e tempo. Noi ristoratori non diamo paghe da fame o da schiavi, ma il giusto a chi se lo merita dimostrandolo sul campo. E da me 12 o 13 ore non si fanno, sennò organizzerei doppi turni”.












