Ciao Nereide, orgoglio della storia e della cultura sarda

Si è spenta questo pomeriggio a 92 anni Nereide Rudas, docente e psichiatra di fama internazionale


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Un anno infausto per la cultura sarda, quello che è appena iniziato. Dopo la grave perdita dell’antropologo Giulio Angioni, se ne aggiunge un’altra, non meno dolorosa e grave: Nereide Rudas, docente e psichiatra di fama internazionale, ci ha lasciato questo pomeriggio.

La sua fama e gli ambiti culturali in cui ha agito non hanno confini, fin da quando, appena diciassettenne, si iscrisse alla facoltà di Medicina, in un’epoca in cui le donne non accedevano facilmente a queste discipline, e fu la prima donna in Europa a dirigere una clinica psichiatrica.

Dopo la laurea e il conseguimento della Cattedra in Discipline criminologiche, con una passione smisurata, Nereide si dedicò all’approfondimento dei contenuti oggetto del suo campo di ricerca, scrivendo numerosissimi saggi, che spaziavano dalle dinamiche dei fenomeni di criminalità al sequestro di persona (gli”uomini rubati” e le psicopatologie che derivavano da questa esperienza), indagando anche sul fenomeno dell’emigrazione, tema scottante nella Sardegna dei primi decenni del Novecento.

“La malattia è una lente d’ingrandimento” sosteneva in una recente intervista a Maria Francesca Chiappe “«È una questione di equilibrio, c’è sempre una parte di disturbo, di tristezza, di sofferenza”. E il suo rapporto con i pazienti lo rivelava a chiare lettere: si stabiliva un rapporto sentimentale, che andava molto oltre la malattia, e scendeva nel particolare intimo delle donne, dei loro specifici motivi di sofferenza, diversa da quella maschile: “Donne morte senza riposo. Un’indagine sul muliericidio” (Am&D edizioni), con Sabrina Perra e Giuseppe Puggioni, docenti della Facoltà di Scienze economiche, giuridiche e politiche, è il suo ultimo lavoro che scruta i meandri della violenza nel buio dei rapporti malati tra uomo e donna.

Nereide era una donna fiera, lo diceva mio padre quando le affidava le perizie dei casi più gravi di reati compiuti nel mondo oscuro delle famiglie e lei aveva sempre una risposta, una chiave di lettura. Come presidente dell’Istituto Gramsci della Sardegna e della Società italiana di Psichiatria forense, la sua parola era chiara e ardita, con una grande passione per il pensiero gramsciano.

Raccontano che Placido Cherchi, un altro grande della cultura e antropologia scomparso di recente, nei momenti difficili in ospedale, prima di morire, abbia sussurrato più volte il nome di Nereide, a cui doveva donare un mazzo di fiori per ringraziarla della prefazione all’ultimo suo libro. Coincidenze fatali, perchè anche Giulio Angioni scrisse tanto per la memoria di Placido . Chi crede nell’aldilà li vedrà ora riuniti in una paradisiaca accademia filosofica.

“Solitudine abbandonica, non scelta ma subita.” definì Nereide quella dei Sardi al convegno della Fondazione Sardinia: “Intellettuali nella Sardegna contemporanea”, svoltosi il 16 dicembre, ma “La capacità e l’abitudine a vivere in solitudine può essersi, in particolari situazioni, rovesciata da modalità difensiva a modalità produttiva e prospettica”. Ecco, questo il ruolo intellettuale che Nereide Rudas si era forse assunto: la capacità di dare un senso alla sottomissione, un valore alla povertà, una luce all’abbandono.