“La violenza patriarcale che si arroga il diritto di esercitare il potere sui nostri corpi e perfino annientarli, ci tocca tutti, nessuno, nessuna di noi si senta escluso”. Dura presa di posizione da parte degli operatori e operatrici che, ogni giorno, assistono le donne che sono “sopravvissute”. Si chiamano così, infatti, le vittime di violenza inferta dall’uomo, spesso compagno di vita, fidanzato, che mette in atto un circuito che, con l’amore, non ha niente da spartire. Generalmente si inizia con le privazioni, i malumori ingiustificati, per poi passare agli insulti, al controllo totale e alla violenza, fisica e psicologica, che viene messa in atto con una strategia disarmante, un filo conduttore simile in tutti i casi. Quando arriva “il primo schiaffo” è già troppo tardi: la vittima è “cotta”, anestetizzata mentalmente da quell’uomo finto che l’ha conquistata con le rose nascondendo le spine. Eppure i segnali di pericolo ci sono, eccome, che partono da una gelosia morbosa, da posizioni che isolano la donna avvolta dall’idea di un sentimento idilliaco. Insomma, la campagna di sensibilizzazione e informazione messa in atto da più parti, istituzioni, centri antiviolenza, social, forze dell’ordine, educa a riconoscere il pericolo che, troppo spesso, è sottovalutato dalle vittime stesse che capiscono il rischio che hanno veramente corso solo una volta varcata la porta del centro antiviolenza, dove accolgono un animo distrutto racchiuso in corpo che, molte volte, ha ancora le macchie scure dei lividi provocati dalle mani di chi non sa proprio cosa voglia dire amare. Ieri, ancora una volta, sono scesi in campo, il team consolidato dei cav ha espresso, lanciato un appello, l’ennesimo, per fermare questa piaga sanguinante, dolorosa, irreparabile come è accaduto a Giusi Massetti e Martina Gleboni. Tra i tanti messaggi anche quello dell’associazione Prospettiva Donna e le operatrici dei Centri Antiviolenza e delle case Rifugio di Olbia e di Oristano, che “esprimono il proprio cordoglio, profondamente colpite e addolorate dal terribile atto violento accaduto a Nuoro che ha scosso l’intera comunità sarda. Il nostro pensiero va alle vittime e alle loro famiglie e a tutta la comunità.
Le notizie di cronaca che parlano di femminicidi si susseguono inesorabili. Per noi ogni giorno è un dolore sordo nella nostra anima di donne e nella nostra coscienza femminista.
Potremmo scrivere un fiume di parole, quante ne abbiamo speso e quante analisi, quante ancora ne dobbiamo fare perché si ponga fine a questa terribile violenza? In questo momento è giusto lasciare spazio al dolore.
Per noi oggi come operatrici dei centri antiviolenza è difficile lavorare: Il senso di impotenza che sentiamo è immane. Ininterrottamente i Centri Antiviolenza di tutto il mondo lottano per sconfiggere questo brutale fenomeno, espressione della violenza patriarcale.
Tanta è ancora la strada che ci aspetta per porre fine a questa strage sistemica delle donne,dei loro figli e di chi a loro sta vicino.
Questo è un dramma collettivo che impone riflessione e azioni, per un radicale cambiamento, affinché si diffonda una presa di coscienza collettiva, che ci smuova nel profondo della nostra anima. La violenza patriarcale che si arroga il diritto di esercitare il potere sui nostri corpi e perfino annientarli, ci tocca tutti e tutte, nessuno, nessuna di noi si senta escluso/a: costruiamo insieme un altro modo di stare al mondo, che non ci privi della libertà, che non annienti ma diffonda rispetto e amore fra i generi”.












