L’apertura di una nuova rubrica richiede, se non esige, una doppia presentazione: una relativa a chi scrive, l’altra alla rubrica stessa, quantomeno per illustrarne i temi affrontati e la tipologia dei contenuti futuri. La prima è presto fatta: mi chiamo Thomas Fichera e sono uno psicologo. Per la seconda, mi dovrò dilungare un po’ di più. È facile intuire che un titolo come “Sentieri della psiche” rimandi a un piccolo spazio virtuale all’interno del quale si parlerà di psicologia, ma di quale psicologia si parli, e in che modi, forse è meno intuibile.
Il termine psicologia significa, etimologicamente parlando, “discorso sulla psiche” e i contorni di questo discorso – ringraziando il Cielo – si sono sempre più allargati fino ad abbracciare l’uomo in tutta la sua interezza, in tutte le sue declinazioni esistenziali, normali, patologiche, amorose, lavorative, creative, finanche quelle ludiche e sportive (ebbene sì, esiste anche una psicologia dello sport e del tempo libero!).
Il discorso è fatto di parole. E la parola è molto più di un complesso di suoni. È attraverso la parola e non solo attraverso l’istinto che ci connettiamo l’un l’altro, e quando parliamo di noi, parliamo dell’altro da noi. Questo non vale unicamente per l’uomo che abbia il coraggio o la sfrontatezza di distendersi sul lettino dell’analista, quando per esempio parlando dei suoi sintomi parla della madre o del suo vicino di casa, ma di qualunque uomo, da quello cioè destato – suo malgrado – ogni mattina dal suono insistente di una sveglia che gli ricordi la necessaria pena quotidiana, fino a quello sotto il potere del quale si giocano i destini delle nazioni. La parola assume però un’importanza particolare non solo perché rivelatrice e mezzo dell’intima anima sociale dell’uomo, o strumento insostituibile per la sua testimonianza storica e per le sue narrazioni. Non è forse un caso che una delle prime pazienti di Freud, tale Anna O., parlò per prima di “Talking cure”, ovvero cura della parola. La parola – la parola mirata – può quindi avere un inimmaginabile effetto terapeutico, se non salvifico. La parola si fa cura, può cioè guarire; e con guarigione non intendo riferirmi alla mera restituzione del paziente a un passato premorboso (questo forse può valere per la medicina) ma a una nuova condizione nella quale nuove prospettive e sentieri che la persona un tempo non era in grado di scorgere o aveva troppa viltà per affrontare, si fanno possibilità percorribili con sufficiente sicurezza.
Questa a mio parere è l’anima più nobile della psicologia: quella che si sforza di cogliere le sottili trame della sofferenza umana per darne un senso compatibile con l’unicità straordinaria di qualunque individuo, che si faccia cioè sua verità storica e psicologica.
I miei contributi saranno costruiti ovviamente attraverso le parole, ma è evidente che qui non posso ambire a un tale pretenzioso effetto terapeutico! Mi basta che i sentieri che mi propongo di spianare abbiano l’esito di suscitare interrogativi, dubbi e posizioni, e perché no, critiche. Questi percorsi narrativi saranno diversificati e talvolta complessi: una volta ci interrogheremo sui rapporti affettivi, un’altra su quelli genitoriali, un’altra ancora sulle paure e sulle angosce tipiche di questi tempi di crisi, dove lo sgretolamento valoriale ha ben poco da invidiare a quello economico.
Sentieri della psiche quindi: sentieri che non ci porteranno mai al di là del terreno sempre in fermento dell’attualità e dell’urgenza dei problemi sociali, e senza scadere in una esposizione dal tenore didattico infarcita di terminologie settarie e ai più incomprensibili il cui esito non potrebbe essere che quello di suscitare la noia probabile del lettore, e quella certa dello scrivente.
Come si dice?
Ai futuri lettori, l’ardua sentenza!
Dott. Thomas Fichera













