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Una lettera, inviata dall’ispettorato del Lavoro dell’Inps, dove viene messo nero su bianco che il contratto, inizialmente a tempo indeterminato, è stato trasformato in part-time prima e in dodici ore settimanali dopo, con mansioni di commesso di negozio. E uno stipendio che, a volte, non arriva “a causa dei pochi incassi”. Sono, in estrema sintesi, alcune delle motivazioni che hanno spinto, dopo un controllo, gli ispettori a procedere “all’annullamento del rapporto di lavoro subordinato” e, anche, “la conseguente posizione assicurativa accreditata al Fondo pensioni lavoratori dipendenti dal 01 gennaio 2016 al 31 dicembre 2020”. La persona in questione è Gianluca Cocco: 50 anni, la compagna e la sorella (titolare non attivo) gestiscono un negozio di divani in via Legnano a Pirri. Qualche mese fa, il 27 novembre 2020, la visita di due ispettrici, che hanno poi scritto nella relazione che “la libertà nella gestione del lavoro, degli orari e delle assenze, decisione dei prezzi di vendita della merce, gestione degli incassi e delle retribuzioni dimostra che le socie non esercitano su Gianluca Cocco un potere direttivo e di controllo”. In pratica, Cocco risulta avere mano libera su tutto: “Ha assunto gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione, svolgendo tutte le attività necessarie alla conduzione del punto vendita”. E, ancora, “l’attività lavorativa resa da Gianluca Cocco lungi dall’essere configurabile come un rapporto di lavoro subordinato, assume i caratteri tipici della conduzione familiare”. Il prossimo passo sarà quello “del pagamento dei contributi degli ultimi cinque anni come coadiuvante. Si tratta”, esordisce il 50enne, “di 3700 euro l’anno, basta fare due semplici calcoli. L’azienda è gestita dalla mia compagna e da mia sorella, è stata aperta nel 2012”.
E lui, Gianluca Cocco, non ci sta: “Ho il mio contratto di lavoro, la società è a nome della mia compagna e di mia sorella. Per gli ispettori dell’Inps svolgerei un ruolo differente rispetto a quello previsto”, spiega. “È vero, sono dipendente ma in un’azienda di famiglia, è ovvio che la mia compagna, titolare, si fidi di me. Sono assicurato per due ore, ma perchè più che un negozio è un deposito, una piccola esposizione. Adesso devo rendere, a rate, circa mille euro al mese per due anni. Si tratta di una cifra impossibile da sostenere. Bisogna tenere conto che ci sono anche 12mila euro di contributi da dipendente, versati regolarmente: quindi, l’Inps da una parte mi chiede di pagare i contributi da coadiuvante, dall’altra di fare una domanda di risarcimento per i contributi versati, ingiustamente, da dipendente. Pensavo di essere nel giusto, per avere i contributi per una futura pensione devi essere inquadrato come un dipendente, ho sempre pagato tutti i contributi. Ho versato dodicimila euro, ora lo Stato ne vuole indietro circa ventimila. Non ho alternativa, sarò licenziato e l’azienda dovrà chiudere: ma, comunque, ho messo tutto nelle mani di un avvocato, per capire se c’è qualche possibilità di ribaltare questa decisione. È un periodo di forte crisi. Questa mazzata rischia, per me, di essere fatale”.