A Monteclaro, nella panchina rossa contro la violenza sulle donne, anche la foto di Manuela Murgia, la sedicenne rinvenuta morta 29 anni fa a Tuvixeddu: “Giovani donne a cui è stata tolta la vita, con la speranza che presto anche la nostra Manu possa avere la giustizia che merita”. Non hanno mai creduto che la ragazza si fosse tolta la vita il 5 febbraio 1995 e mai ha smesso di cercare la verità: la sua famiglia è unita più che mai per far ripartire le indagini e capire cosa sia realmente successo quel giorno. La sua foto, con un breve accenno della storia, ora è anche nella panchina rossa, accanto a quella di altre ragazze che hanno perso la vita per mano di uomini senza cuore. Un segnale, l’ennesimo, per tenere alta l’attenzione su un fatto di cronaca archiviato, in origine, come suicidio ma per il quale sono troppi i punti interrogativi che non consentono di credere a questa versione. “Manuela non si è gettata nel vuoto, sui suoi poveri resti vi erano evidenti segni di percosse e violenze brutali, i segni lasciati sul collo ne sono la prova”. Si tratterebbe di “segni causati da una manovra meccanica atta a far perdere i sensi alla povera Manuela. Il suo corpo è pieno di segni e graffi non riconducibili alla caduta. Lo certificano le perizie effettuate dai nostri periti di parte. È ora di smettere di insinuare che si possa essere tolta la vita o sia caduta da oltre trenta metri. Vi è stata una brutale aggressione fisica, dopo di che si è simulato maldestramente il suicidio” ha spiegato la famiglia. Solo dopo 28 anni “siamo riusciti ad entrare in possesso dei fascicoli delle indagini e autopsia, sottoposte a tre team differenti di medici criminologi che hanno confermato l’omicidio”. La tenacia di una famiglia che non si arrende per rendere giustizia alla giovane ragazza scomparsa troppo presto: gli appelli e le iniziative, quindi, proseguono, al fine di scoprire cosa accadde realmente quel maledetto giorno.