Dentro il palazzo del Consiglio regionale va in scena la chiusura dei lavori della commissione di inchiesta sul “caso Aias”, poi tutti i documenti finiranno tra i banchi dei consiglieri. Fuori, sotto i portici, una cinquantina di lavoratori dell’associazione che da oltre mezzo secolo cura centinaia di malati in tutta l’Isola mettono in scena la “protesta-bis”, dopo quella avvenuta ieri sotto il palazzo della Regione in viale Trento. Le richieste sono sempre le stesse: trovare tutti i soldi che mancano all’appello e che, da mesi, stanno portando 1200 dipendenti a ricevere solo porzioni di stipendio – quando va bene – e capire quale sarà il futuro del rapporto che lega la Regione sarda all’Aias. Ieri è arrivata la richiesta, da parte della presidentessa Anna Paola Randazzo, di essere ascoltata dai componenti della commissione speciale: “I dati in possesso della commissione sono parziali e incompleti e ben lontani da quelli reali, riteniamo opportuno che l’associazione possa rappresentare in forma compiuta tutti i vecchi crediti…, al fine di confutare l’insussistenza di uno stato di insolvenza economica della nostra associazione”. L’assessore regionale della Sanità, Mario Nieddu, ha affermato che “garantiremo il servizio e salveremo i posti di lavoro”.
“La commissione di inchiesta deve dire delle parole chiare e nette, questa vertenza va chiusa in tempi rapidi”, dice Roberta Gessa, sindacalista della Cgil, “la fase dell’Aias dev’essere superata, i lavoratori devono avere tutti i soldi che, mese dopo mese, non hanno ricevuto, e anche gli arretrati. Il monopolio dev’essere rotto”, afferma la Gessa, “bisogna internalizzare tutti i servizi, spacchettandoli tra più enti”. All’orizzonte c’è ancora l'”obbiettivo” dell’apertura ufficiale di Sas Domos”: “Si tratta di una questione che va assolutamente ripresa”.










